L'ICONOCLASTA

La parabola storica della Cgil e di una Confindustria che non parla per le tante piccole imprese che sono la spina dorsale dell’economia. Le riforme di vasta portata richiedono l’appoggio degli italiani, ma non dobbiamo attribuire troppo peso alla Cgil, un’organizzazione datata e old-fashioned.

30 marzo 2014 – Diciamolo pure: la Confindustria non rappresenta la maggioranza delle imprese e la Cgil rappresenta per il 60 per cento pensionati e non lavoratori. Susanna Camusso, tristemente, è oggi la leader di un’associazione di pensionati. Ed è interessante vedere quanto sia nervosa in questo periodo. Forse si rende conto che la Cgil, con tutto il rispetto per la sua storia importante e il ruolo sociale e politico che ha avuto, non è più rappresentativa di tanti lavoratori e non può più dettare l’agenda.

Le proteste della Camusso contro le riforme del mercato del lavoro hanno un peso diverso rispetto al passato. Non parla per i milioni d’italiani che vogliono un vero cambiamento. La Cgil, così come Confindustria, sono corporativiste, sono associazioni vecchie, sono meno rilevanti oggi di quanto lo erano una volta.

Come ho scritto a pagina 175 del mio nuovo libro, «l’esistenza nell’Italia di oggi di tre grandi sindacati, Cgil, Cisl e Uil, e una sola federazione di grandi imprese, che non parla per le piccole imprese, è out of date. È superata. È antistorica. È ridicola. La Camusso e la Cgil non rappresentano più i lavoratori ma soprattutto i pensionati. Confindustria è spesso inefficace. Non è neanche rappresentativa di tante imprese in Italia. L’idea delle trattative per contratti collettivi nazionali è out of date quando l’80 per cento dell’economia non è più composta di fabbriche e stabilimenti industriali. E alcune delle nostre leggi di base sono out of date. E questo include lo Statuto dei lavoratori, approvato nel lontano 1970, in un’altra epoca».

Il problema non è la “rigidità” delle parti sociali, è la loro rilevanza.

Noi dobbiamo evitare, ad ogni costo, le mezze misure, le misure finte, le riforme a metà, i compromessi. Il Paese è a terra, e bisogna dare una scossa che ignori le lamentale della Cgil e la Confindustria. La Cgil è una voce della conservazione. Ora, per invertire la tendenza, dobbiamo mandare avanti le riforme strutturali, cosa che l’Italia avrebbe dovuto fare tanti anni fa.

Nella Cgil, come nel Palazzo a Roma e nei salotti della gauche caviale di Capalbio, il gattopardo è vivo e vegeto, anzi è in agguato. La campagna contro le riforme, che siano del mercato del lavoro o del sistema di bicameralismo perfetto, sta montando. L’offensiva della minoranza del Pd e di altri gattopardi sta cominciando. I franchi tiratori sono armati. C’è molto malumore nell’ala tradizionale del Pd, c’è paura all’idea di un vero cambiamento.

Se l’Italia vuol cambiare davvero deve cambiare testa, deve smettere di ragionare nei termini di un paese industriale con la Cgil al comando, con la concertazione democristiana di una volta, con lo stile degli anni Settanta. È ora di cambiare, e di ignorare o isolare i gattopardi.

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