L'ICONOCLASTA

Un intervento in Libia sembra sempre più vicino, a cinque anni dalla decisione sciagurata di Sarkozy e Hillary Clinton di buttare giù Gheddafi

Il Consiglio supremo di difesa ha deciso giovedì che l’Italia valuterà un’operazione in Libia su richiesta delle autorità locali. Una notizia che arriva dopo quella del via libera, da parte del governo Renzi, alle missioni armate dei droni statunitensi in partenza dalla base siciliana di Sigonella e diretti contro lo Stato Islamico in Libia. Tutto questo mentre ci avviciniamo al quinto anniversario della decisione sciagurata di Sarkozy e Hillary Clinton di bombardare Gheddafi nel marzo 2011, senza avere un piano alternativo per il dopo, spianando così la strada all’Isis. Ricordiamo come andarono le cose nel 2011 con questo brano tratto dal capitolo 10 di My Way: BERLUSCONI si racconta a FRIEDMAN (Rizzoli, 2015) – Gheddafi: il grande errore dell’Occidente.

26 febbraio 2016 – (…) Tutto cambiò all’inizio del 2011, con il divampare della Primavera araba. Le violenze cominciarono in Tunisia. Poi entrò in azione la generazione Facebook. Per la prima volta, i social media divennero uno strumento di rivoluzione politica, accanto ai metodi più tradizionali delle dimostrazioni e delle proteste violente, come quelle in piazza Tahrir al Cairo. Mubarak fu spazzato via in una tempesta di rabbia e di rivolte.

I deserti del Nordafrica e del Medio Oriente furono devastati da un vento impetuoso, una rivoluzione di dimensioni globali che si presentò con la maschera delle aspirazioni democratiche e poi si mutò in anarchia e frammentazione, in guerre tribali ed etniche, in Stati e semi-Stati falliti e milizie ribelli in competizione con gruppi di terroristi per rovesciare i dittatori. La Primavera araba, iniziata nel segno della speranza e dell’innocenza, avrebbe subìto l’ultima e più atroce metamorfosi con la nascita di un culto medievale di adoratori del califfato, una barbarie di cui l’esperienza umana raramente aveva visto l’uguale, un’armata sanguinaria perfino peggiore di quella guidata da Osama bin Laden.

(…) Subito dopo la caduta di Mubarak, il presidente francese saltò sul carro dei rivoluzionari. Alla fine di febbraio era diventato un rumoroso sostenitore delle rivolte, comprese quelle in corso in Tunisia e in Libia. Di punto in bianco, dopo aver passato tre anni a cercare di fargli firmare contratti con aziende francesi, il presidente parlava apertamente di rovesciare Gheddafi. (…) Sotto gli occhi increduli del mondo, le proteste della Primavera araba dilagarono rapidamente in Libia. Gheddafi ordinò alle forze di sicurezza di aprire il fuoco contro i dimostranti a Bengasi e la rivolta si trasformò ben presto in un conflitto armato che coinvolse milizie tribali, ribelli sinceramente democratici ed estremisti islamici di vari colori e denominazioni. (…) Ormai la Libia era precipitata in una guerra civile in piena regola e Hillary Clinton aveva cominciato una settimana di frenetici viaggi diplomatici, volando a Parigi il 14 marzo per una riunione dei ministri degli Esteri del G8 e un tête-à-tête con Sarkozy. Il presidente francese, imbaldanzito dall’appoggio della Lega Araba alla no-fly zone, fece pesanti pressioni su Clinton. Chiese a Washington di sostenere un intervento militare che avrebbe bloccato l’avanzata di Gheddafi verso la roccaforte ribelle di Bengasi. Hillary Clinton non era ancora convinta. Il trauma decennale delle guerre in Afghanistan e in Iraq aveva momentaneamente paralizzato la politica estera americana. Ma il segretario di Stato sarebbe presto diventato un falco, ignorando le decise obiezioni del Pentagono e della Cia, che mettevano in guardia da un’azione militare che in Libia avrebbe potuto rivelarsi un disastro.

(…) Sarkozy continuava a ringhiare a Parigi, da Londra un David Cameron ora un po’ titubante fece giungere le dovute parole di solidarietà, mentre a Roma Silvio Berlusconi si rodeva il fegato. Non voleva appoggiare un intervento militare in Libia. Non credeva che ci fosse un’alternativa praticabile al potere di Muammar Gheddafi, anzi temeva che la scomparsa del dittatore avrebbe provocato il caos totale. (…) Ma nel marzo 2011 Sarkozy voleva far capire al mondo intero che era determinato a far cadere Gheddafi, dimostrando così di essere un leader globale. A sancire la ritrovata grandeur francese sarebbe stato un nuovo consiglio di guerra, un vertice internazionale sulla Libia convocato all’Eliseo nel pomeriggio di sabato 19 marzo.

Appena prima di salutare ufficialmente gli ospiti, Sarkozy tenne un mini-summit privato con Cameron e Hillary Clinton. (…) E Silvio Berlusconi? Considerava una follia l’idea di buttare a mare Gheddafi. Berlusconi aveva investito nel colonnello molto più del presidente francese. Non aveva solo interessi petroliferi da difendere; aveva una conoscenza della Libia ben più approfondita di Sarkozy ed era convinto che le conseguenze di una fine di Gheddafi sarebbero state disastrose. Da ciò che racconta oggi Berlusconi, a forzargli la mano fu Giorgio Napolitano, che come presidente era a capo delle forze armate. Berlusconi sostiene che Napolitano lo costrinse a mettere a disposizione le basi italiane per l’intervento militare pianificato dalla Nato in Libia.

(…) Mentre Berlusconi chiacchierava con gli altri, Sarkozy stava concludendo il piccolo pre-summit con Cameron e Clinton. Aveva spiegato che i caccia Rafale erano già in volo verso la Libia. Inglesi e americani li avrebbero seguiti quella sera, ma la Francia era già lì, in prima linea, pronta a colpire, anche prima dell’inizio del vertice che avrebbe dovuto valutare un’azione coordinata. (…) Ormai Berlusconi, dopo aver udito la notizia che Sarkozy aveva già lanciato la prima ondata di attacchi, si guardava intorno nel salone dell’Eliseo. Tutti i presenti avevano parlato a favore dell’intervento militare o non erano comunque contrari. Si ritrovò isolato. (…) «Ero in totale disaccordo con Sarkozy» ricorda Berlusconi.

In seguito avrebbe sostenuto che Sarkozy si era affrettato a riconoscere il governo ribelle e aveva fatto pressioni per la campagna militare contro Gheddafi «perché quelli erano gli interessi commerciali francesi e perché era geloso dei miei rapporti con Gheddafi, e si era reso conto che non avrebbe mai potuto competere con me in materia di contratti petroliferi e sul gas».

Ancora oggi, se gli si chiede di dare un giudizio complessivo sulla caduta di Gheddafi promossa da Sarkozy, lui risponderà che è stato un enorme errore, che solo Gheddafi avrebbe garantito l’unità della Libia, che tutta l’operazione fu un fiasco che ha provocato solo bagni di sangue e sofferenze e ha spianato la strada alla comparsa di al-Qaida, dell’Isis e degli altri gruppi terroristici in molte aree della Libia. (…) A Parigi, il giorno della morte del leader libico, Sarkozy esultò. Berlusconi sostiene che Gheddafi poteva essere un dittatore, ma che un Gheddafi ormai addomesticato era pur sempre meglio del caos e dell’anarchia che oggi regnano in una Libia piena di milizie tribali e di terroristi jihadisti.

(My Way: BERLUSCONI si racconta a FRIEDMAN (Rizzoli). Brani tratti dal Capitolo 10 – Gheddafi: il grande errore dell’Occidente)

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