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Le sfide per Renzi: riformare l’economia italiana e porre fine al “malinteso” tra Roma e Berlino

Ecco la traduzione in italiano del mio nuovo articolo su Renzi e l’Italia, uscito oggi su Die Zeit in Germania.

27 febbraio 2014 – Adesso Matteo Renzi è in carica. E la posta è altissima, perché se fallisce lui – cioè l’uomo che si è presentato come il Catalizzatore del cambiamento – è difficile immaginare un altro politico italiano in grado di fare meglio.

Renzi è presidente del Consiglio: piaccia o no, è lui che promette le radicali riforme economiche e sociali di cui ha un disperato bisogno una nazione in recessione e stagnazione dal 2007, anno dal quale il Pil è calato di 8 punti percentuali.

L’Italia è nei guai. La disoccupazione giovanile ha quasi raggiunto il 42 per cento (ed è ancora più alta al Sud) e continua a crescere. Quasi un terzo degli italiani sono vicini alla soglia della povertà o a rischio di esclusione sociale. Le banche non fanno più credito alle piccole e medie industrie. Il debito pubblico, al 133 per cento del Pil, è altissimo.

Gli italiani, in massima parte, hanno perso fiducia in una classe politica screditata. Intanto, le forze della conservazione, quelle – a sinistra come a destra – che intendono salvaguardare lo status quo, sono formidabili, addirittura feroci.
E qui entra in scena Matteo Renzi.

La vecchia guardia della politica italiana, compresi tutti quelli che si nutrono alla sontuosa mangiatoia degli eccessi romani, non salta di felicità. A tutti loro non piace l’idea di questo trentanovenne parvenu fiorentino che piomba in città a dire che è ora di cambiare. Alcuni desiderano intensamente il suo fallimento.

Ma il cambiamento è di importanza vitale sia per la carriera di Renzi, sia per il successo dell’Italia come nazione, sia per l’Europa in senso lato.

A mio giudizio, le priorità di Renzi dovrebbero essere la riduzione del debito pubblico e la riforma del mercato del lavoro, in modo che si riduca drasticamente il costo del lavoro e che ci sia maggiore flessibilità sia in entrata sia in uscita. Renzi si è anche impegnato a lottare contro l’ipertrofica burocrazia italiana, cosa tutt’altro che facile. Secondo me dovrebbe anche procedere ad alcuni ritocchi al sistema pensionistico, in particolare per le pensioni non coperte da effettivi contributi, e concedere incentivi fiscali a favore dei fondi pensione privati. Ma prima di ogni altra cosa, deve ridurre la pressione fiscale sui redditi e sulle imprese.

Questo non significa abbandonare al loro destino i poveri o le fasce più deboli, in nome di una politica fanaticamente liberista, alla Thatcher. Niente affatto. Dalle conversazioni e dall’intervista che ho avuto con lui per il mio libro direi che Renzi incarni gli elementi positivi delle politiche di Tony Blair in Gran Bretagna, di Bill Clinton negli Stati Uniti e di Gerhard Schröder in Germania.

Renzi è un politico di centrosinistra che sembra essersi reso conto di quanto la società contemporanea richieda un intelligente mix di misure che da un lato proteggano le fasce più deboli e promuovano l’eguaglianza sociale, e dall’altro favoriscano la competitività, la libera concorrenza e la meritocrazia.

Questo significa che Renzi dovrà anche battersi per un minimo vitale per le famiglie bisognose, per incentivi fiscali al fine di aumentare il numero delle donne nel mercato del lavoro, e per una completa revisione degli interventi di assistenza sociale e a sostegno dei disoccupati, interventi che dovranno basarsi sui bisogni e non sui diritti acquisiti.

Alcuni elementi di ciò che Renzi sta tentando di fare per modernizzare il mercato del lavoro potrebbero prendere ispirazione dalle cosiddette riforme Hartz, introdotte da Gerhard Schröder tra il 2003 e il 2005. L’Italia non deve copiare la Germania, ma potrebbe considerare le best practices tedesche in campi come i Job Center (i centri per l’impiego resi molto più efficienti nel collocamento dei disoccupati) o gli asili nido a disposizione delle donne che lavorano.

Raccomanderei anche nuove collaborazioni tra pubblico e privato e investimenti mirati in settori chiave come il turismo, la produzione alimentare e l’economia della conoscenza sul web.

È ovvio che, per finanziare tutto ciò, occorreranno tagli di spesa pubblica molto più incisivi di quelli immaginati da Letta, sia a Roma sia in quelle centrali dello spreco e della cattiva amministrazione che sono in gran parte le Regioni. E più tardi, ma solo dopo l’entrata a regime delle prime riforme, fra un anno o due, potrebbe aver senso anche introdurre una piccola patrimoniale dell’1 per cento sui patrimoni finanziari sopra il milione di euro.

Un’altra cosa che dovrà fare Renzi è porre fine allo storico e nefasto malinteso tra Italia e Germania. Molti italiani danno ad Angela Merkel la colpa della politica di austerità del governo Monti. La Cancelliera tedesca non è popolare in Italia.

Ho chiesto a Renzi, durante l’intervista del 27 novembre (il video è disponibile su www.zeit.de e su www.corriere.it), di spiegare questo misunderstanding tra Germania e Italia, e come potrebbe essere superato.

«Io credo che noi dobbiamo dire agli italiani che se dobbiamo mettere a posto i conti non lo facciamo perché ce lo ha chiesto la Merkel, lo facciamo perché è giusto per i nostri figli. Quale padre lascia i debiti ai figli? Può succedere, per un problema, ma solitamente un padre cerca di risolvere il problema ai figli. Invece, la mia generazione si trova a che fare con un debito pubblico portato alle stelle dal passato. Dobbiamo sistemarlo. Perché questo accada, lo facciamo con l’intelligenza e la credibilità di chi sa, questa cosa può essere utile per la Germania, ma la facciamo per noi, non per la Germania».

Renzi non avrebbe potuto essere più chiaro. Ma ci riuscirà? Può riuscirci? Dipende dalla forza della Controriforma che verrà lanciata contro di lui. In tutti i miei anni in Italia non ho mai appoggiato nessun partito politico, e adesso non appoggio Renzi. Dico semplicemente che adesso è il simbolo della discontinuità, e se fallisce lui, l’Italia finirà in guai ancora peggiori.

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