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L’economia e l’effetto Trump: euforia prima, rischi dopo

Goldman Sachs prevede una crescita del Pil negli Usa tra il 2 e il 3 per cento nel 2017, più fiducia tra i consumatori e una politica economica più espansiva. Ma il prezzo che pagheremo per queste politiche, come ci insegna l’esperienza di Reagan, sarà alto.

Tra tre settimane Donald Trump diventerà ufficialmente presidente degli Stati Uniti d’America. Ecco le mie previsioni sulle politiche economiche che intraprenderà il nuovo inquilino della Casa Bianca e sui suoi possibili effetti, pubblicate stamattina sul Corriere della Sera.

31 dicembre 2016 – Qualche giorno fa parlavo con un amico, gestore di un importante hedge fund, della «Trump rally» di Wall Street, ovvero dell’esuberanza irrazionale con cui i mercati finanziari hanno salutato l’elezione di Trump, come una manna dal cielo. Il suo parere, come quello di numerosi economisti e banchieri, è che l’arrivo di Trump alla Casa Bianca inaugurerà una stagione di crescita più elevata del Pil negli Usa, con un dollaro che nel 2017 rimarrà forte.

Anche io credo che l’effetto economico dell’arrivo di Trump sarà benevolo, almeno nel breve termine, grazie a una serie di stimoli per l’economia americana. Questi comprenderanno probabilmente tagli massicci alle tasse, sia per le imprese sia per i privati, una politica fiscale espansiva e reflazionistica, un condono per le società con soldi offshore, uno smantellamento di tante regolamentazioni a favore di Wall Street, delle banche, del settore energetico e di quello farmaceutico, per cominciare.

1. Tagli delle tasse. Donald Trump ha promesso di tagliare le tasse più di Ronald Reagan negli anni Ottanta, e i Repubblicani, che ora controllano il Senato e la Camera dei Deputati, sono d’accordo. Sarà una delle priorità nei primi cento giorni di Trump. Questo taglio dovrebbe favorire chi è già benestante (o molto ricco) ma sarà indubbiamente presentato da Trump, magari con un tweet, come una vittoria del ceto medio. Se il nuovo presidente taglierà la corporate tax, che si trova ora a quasi il quaranta per cento, fino al quindici o venti per cento, e porterà l’aliquota più alta per l’equivalente Usa dell’Irpef dal 39,6 al 33 per cento, ci sarà certamente un boom economico nel breve termine, un periodo caratterizzato da nuova fiducia da parte dei consumatori e degli investitori.

2. Rimpatriare l’offshore cash. Se Trump riuscirà poi, come appare possibile, a orchestrare un condono o una specie di voluntary disclosure per invogliare Apple, Microsoft e tutte le altre multinazionali a rimpatriare i capitali che si trovano nei paradisi fiscali, anche questo potrebbe essere molto positivo per l’economia degli Usa. Che questi soldi andranno a creare nuovi posti di lavoro è invece meno chiaro.

3. Deregulation. Trump ha chiesto a Carl Icahn, noto avvoltoio speculatore degli anni Ottanta nonché vecchio socio nei casinò di Trump ad Atlantic City, di gestire la questione deregulation per la nuova amministrazione. Icahn detesta le regolamentazioni e ha già aiutato Trump, suggerendo di nominare in posizioni chiave nel Consiglio dei ministri uomini che hanno sistematicamente lottato contro le norme che disciplinano Wall Street, le banche, le aziende petrolifere, la sanità, quelle a tutela dell’ambiente. Ovviamente Wall Street è euforica: l’amministrazione Trump sarà ancora più zelante di quella guidata da George W. Bush nel combattere ogni regulation e renderà gli Stati Uniti un Far West di tutele mancanti.

4. Infrastrutture. Nella politica espansiva di Trump dovrebbe esserci spazio per tante nuove autostrade e ponti, per una modernizzazione delle decadenti infrastrutture americane. Un programma che nel breve periodo potrebbe creare nuovi posti di lavoro e, attraverso l’effetto moltiplicatore, nuovi consumi.

Intanto, Goldman Sachs prevede una crescita del Pil negli Usa tra il 2 e il 3 per cento nel 2017, più fiducia tra i consumatori e una politica economica più espansiva. Ma il prezzo che pagheremo per queste politiche, come ci insegna l’esperienza di Reagan, sarà alto: finita l’ubriacatura resterà solo il mal di testa. In altre parole, un aumento del debito e, prima o poi, uno sgonfiamento della bolla di Wall Street.

C’è solo una questione economica che spaventa i mercati e gli economisti, ed è il rischio di una politica davvero protezionistica, con l’imposizione di tariffe e dazi pesanti sulle importazioni dalla Cina, dal Messico o da dovunque deciderà il nuovo presidente. Gli uomini di finanza sussurrano tra di loro che questo non accadrà perché Wilbur Ross, il miliardario ministro del Commercio, non permetterà nulla del genere.

Tuttavia, altri argomentano che Trump ha nominato come consigliere alla Casa Bianca per il commercio Peter Navarro, un economista marginale ma estremista, conosciuto in America per le sue tirate propagandistiche contro la Cina. Dal punto di vista economico non c’è dubbio: la più grande incognita è rappresentata dal commercio. La politica commerciale dell’amministrazione Trump è sicuramente il rischio più grande per la stabilità economica degli Usa e del mondo. Una serie di guerre commerciali non aiuterebbe né l’Europa né l’Asia, ed è proprio qui che il comportamento di Trump sarà determinante.

Trump ha la fortuna di arrivare alla Casa Bianca in un momento di forte espansione dell’economia americana. Nel terzo trimestre il Pil Usa è cresciuto del 3,5 per cento. La ripresa si sta finalmente mostrando duratura e forte, otto anni dopo la Grande Recessione. Il presidente eletto contesta il tasso di disoccupazione, attualmente al 4,6 percento, con fake news, ma la cifra è reale. Trump ha vinto proponendo una visione catastrofica dell’economia americana, e sarà rapido a intestarsi pubblicamente, probabilmente con un tweet, qualsiasi miglioramento dovesse arrivare nei prossimi mesi.

Alla fine, nel 2017, l’incognita principale non sarà tanto rappresentata dalla politica economica dell’amministrazione Trump. Taglieranno sul serio le tasse e faranno una serie di liberalizzazioni e deregolamentazioni senza precedenti, una politica molto ma molto liberista. I mercati dovrebbero essere contenti, per un po’. La vera incertezza sarà capire come si sveglierà ogni mattina il nuovo presidente degli Stati Uniti. Il rischio al ribasso si chiama Trump.

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