L'ICONOCLASTA

L’Italia è sprofondata nella sua terza recessione in sei anni. Riuscirà a rimettersi in piedi? I prossimi 90 giorni saranno cruciali.

Come stanno veramente gli italiani? Come affrontare una crisi lunga e difficile? Queste le domande a cui ho cercato di rispondere in un lungo reportage pubblicato ieri dal Sunday Times di Londra, tradotto in italiano per voi.

8 settembre 2014 – Un’estate disgraziata per l’Italia, sotto diversi punti di vista. Ci sono state più giornate di pioggia che di sole e i cieli del paese sono stati oscurati da pendule nubi di tempesta. Molte spiagge rinomate sono rimaste mezze vuote e, a detta degli albergatori, è stata una delle peggiori estati di sempre.

Ancora peggio delle condizioni climatiche è andata l’economia. Lo scorso mercoledì l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) ha previsto per l’Italia, entro la fine dell’anno, un aumento del già alto tasso di disoccupazione: dal 12,6 al 12,9 per cento. E con quasi 10 milioni di italiani tra disoccupati e a ridosso o al di sotto della soglia di povertà, il morale del paese non è mai stato più a terra. Il 43 per cento degli italiani sotto i 24 anni è oggi senza lavoro – più del doppio rispetto al 2007.

Tutti parlano delle prospettive in peggioramento e della perdita di un’intera generazione di lavoratori. Arianna Nieri, 43 anni, laureata e disoccupata di Lucca, in Toscana, confessa di avere poche speranze di trovare un lavoro. Il suo ultimo impiego a tempo pieno si è concluso nel dicembre 2011. «Ho paura che avendo superato i quarant’anni non avrò mai più un lavoro», racconta. «Il futuro del nostro paese non promette nulla di buono. L’unica cosa che posso fare è tornare a vivere con i miei genitori così da poter quantomeno risparmiare sull’affitto».

Gli ultimi dati mostrano come l’economia italiana non sia più grande di quanto non lo fosse nel 2000 e un 7-9 per cento meno estesa rispetto al 2007, mentre i suoi principali competitors europei sono tornati al di sopra dei livelli pre-crisi.

Tutti sentono il peso della crisi. Mauro Moroni, 40 anni, tassista milanese, lamenta una diminuzione del lavoro. «Mi capita di avere delle giornate decisamente mosce. Direi che il numero di persone che prendono il taxi a Milano è calato negli ultimi cinque anni di più del 25 per cento, forse addirittura di un terzo», spiega. «Piuttosto prendono l’autobus o il tram». Questo vuol dire che anche lui ha dovuto stringere la cinghia.«Non andiamo più a cena fuori», aggiunge. «I miei risparmi si sono volatilizzati. Sinceramente, non vedo la luce alla fine del tunnel».

L’Italia è sprofondata nella sua terza recessione in sei anni. Sempre più imprese dichiarano bancarotta. Il settore dell’export, che vale più di un quarto del Pil, resta vivace, ma l’Italia sarebbe ben fortunata se riuscisse a risalire la china con un tasso di crescita che quest’anno si colloca leggermente al di sopra dello zero. Il mercato immobiliare è congelato, la domanda dei consumatori è crollata, il livello di fiducia delle imprese ha toccato il fondo e l’economia si trova a fronteggiare lo spettro di una deflazione a lungo temine.

Persino i benestanti sono stati colpiti: Emanuela Minnai, 57 anni, un’agente letteraria che vive in Liguria, ha tagliato le spese. «Ho dovuto ridurre gli appuntamenti dal parrucchiere, non più tutte le settimane ma due volte al mese», confida. «Ormai faccio shopping solo durante i saldi invernali e siamo stati costretti a rimandare per due anni l’acquisto di una nuova auto».

Il reddito medio annuale pro capite è calato di circa 2.700 euro durante la crisi. Sono diminuiti gli italiani che possono permettersi di andare allo stadio a vedere le partite e l’83 per cento della popolazione ha smesso di comprare vestiti al di fuori dei periodi di saldi. Più di un quinto delle famiglie dichiara di non potersi permettere il riscaldamento d’inverno. Gli italiani sono furiosi e frustrati dal cocktail letale composto dal più alto tasso d’imposizione fiscale d’Europa, un livello di debito pubblico che ammonta al 135 per cento del Pil, e una burocrazia statale ipertrofica che resiste strenuamente a ogni cambiamento.

Contro questo terribile scenario, Matteo Renzi, il carismatico primo ministro trentanovenne, da sei mesi combatte per introdurre riforme di vasta portata simili a quelle realizzate in Gran Bretagna negli anni Ottanta o dieci anni fa in Germania. Renzi si trova però a fronteggiare un’opposizione durissima, proveniente in particolare dall’ala sinistra del suo stesso partito e dai sindacati, dai tassisti, dagli impiegati statali e addirittura dalla polizia, dai vigili del fuoco e dai carabinieri, che la scorsa settimana hanno annunciato un piano di sciopero generale contro il congelamento dei salari. Ieri i controllori del traffico aereo hanno messo in campo uno sciopero di quattro ore che ha causato gravi disagi al trasporto aereo in Europa.

La rabbia e la resistenza al cambiamento si sono intensificate da quando Renzi ha presentato l’agenda delle “riforme in 1000 giorni”. Il primo ministro ha promesso una profonda riorganizzazione del rigido mercato del lavoro e una rimodulazione degli alti contributi che colpiscono la competitività industriale, ottenendo come risultato critiche per non muoversi abbastanza velocemente.

Renzi sta affrontando un insieme monumentale di sfide. Così come il mercato del lavoro, il premier vuole scuotere anche la magistratura, notoriamente letargica (e spesso politicizzata). Intende tagliare i costi per i datori di lavoro e il livello di tassazione riducendo la spesa pubblica. Il settore pubblico e il sistema scolastico saranno entrambi riformati. E, per concludere l’opera, propone dei cambiamenti costituzionali, compreso un indebolimento del Senato e una nuova legge elettorale.

Recentemente Renzi mi ha concesso un’intervista televisiva, e non ha usato mezze misure. «Io non mollo», ha detto. «Piaccia o non piaccia, noi le riforme le faremo».

Ironia della sorte, proprio Berlusconi, l’ex primo ministro e leader di Forza Italia, il partito d’opposizione di centro destra, ha offerto il proprio aiuto a Renzi. I due uomini hanno lavorato insieme sul Senato e sulla riforma elettorale. Restando molto critico su alcune politiche di Renzi, Berlusconi ha detto la scorsa settimana al Sunday Times che potrebbe essere d’accordo nell’estendere la sua cooperazione alla sfera economica, a condizione che i piani per la riforma del lavoro siano «seri e realmente radicali». Berlusconi ha detto chiaramente di dubitare che Renzi si spingerà fino a permettere una tale cooperazione. Ma ha lasciato uno spiraglio aperto.«Se Renzi vuole il nostro aiuto, e se intende proporre una riforma seria del mercato del lavoro, sa dove trovarmi».

Alla fine Renzi chiederà aiuto al suo rivale per modernizzare l’economia? Renzi avrà successo dove altri hanno fallito?

Un grande punto interrogativo incombe sull’effettiva capacità dell’Italia di rimettersi in piedi. Se Renzi dovesse fallire, è difficile immaginare un altro politico in grado di prendere il suo posto. Le prospettive per un reale cambiamento dovrebbero palesarsi tra ora e Natale. Per l’Italia, i prossimi 90 giorni saranno cruciali.

(Traduzione di Luna De Bartolo)

VIA/ The Sunday Times

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