Il corrispondente in Italia del quotidiano francese Le Monde, Philippe Ridet, commenta l’ascesa folgorante del vicepresidente della Camera Luigi Di Maio e le ultime vicende interne al Movimento 5 Stelle. Un’analisi interessante, tradotta in italiano per voi.
Buona lettura!
22 luglio 2014 – Ventotto anni compiuti il 6 luglio, laureato in giurisprudenza a Napoli, aspetto curato, capelli corti, abito grigio, la cravatta ben stretta: Luigi Di Maio, deputato del Movimento 5 Stelle (M5S) e vicepresidente della Camera, è diventato in poche settimane il punto di riferimento del suo partito. L’uomo della sinistra radicale, degli incontri con Matteo Renzi sulle riforme del Senato e del sistema elettorale, è ormai il volto istituzionale, presentabile e aperto di una formazione abituata ad atteggiamenti più trasgressivi, un po’ propagandistici, talvolta infantili.
Abile oratore (impossibile interromperlo nei dibattiti televisivi a cui frequentemente partecipa) e arguto come un avvocato di Silvio Berlusconi, ha oscurato gli altri militanti del Movimento 5 Stelle, primo tra tutti il suo fondatore Beppe Grillo. Quest’ultimo – che ha appena festeggiato 66 anni e la cui linea “contro tutti” ha conquistato pochi consensi tra gli elettori – si domanda se valga la pena continuare a sudare sette camice durante i meeting per difendere la purezza ideologica del suo movimento e dargli visibilità, quando si è reso conto che Renzi ha ormai preso saldamente le redini del paese.
Da una parte 66 anni, 28 dall’altra: Di Maio non ci ha messo molto a capire chi aveva più futuro davanti a sé, non fosse che da un punto di vista anagrafico. Dopo che l’opposizione radicale del Movimento è stata battuta alle urne, il giovane deputato si è fatto i suoi conti – e non è stato molto difficile considerando che i suoi colleghi, eletti come lui a gran sorpresa nel febbraio 2013, non sono tutti al suo livello… Con discrezione, ha sgobbato sul regolamento della Camera e sui dossier, ha seguito corsi di comunicazione, per poi uscire alla luce del sole, preparato e sicuro di sé.
Prudente, si è ben guardato dal fare la più piccola critica alla “linea isolazionista” del Movimento che, almeno fino alle elezioni europee di maggio, era dettata da Beppe Grillo e dal suo mentore Gianroberto Casaleggio. I due uomini, alla ricerca di un eletto che sapesse gestire il gruppo eterogeneo dei grillini, si sono rivolti a lui perché li rappresentasse a Roma: il primo è trattenuto a Genova dalla sua avversione per gli aerei, il secondo a Milano dai suoi affari. «Capi, cosa bisogna fare?», domandavano gli eletti. «Vedete con Di Maio», rispondevano Grillo e Casaleggio, conferendogli così il ruolo di capogruppo permanente quando la carica era ufficialmente sottoposta a una rotazione trimestrale. Dapprima “controfigura”, Di Maio ha ormai preso gusto a recitare in ruoli da protagonista: sembra una versione contemporanea, politica e al maschile di un film di George Cukor, È nata una stella.
Luigi Di Maio potrebbe aver percepito che era in grado di spiccare il volo nel momento in cui riceveva elogi da avversari del calibro di Renzi e Berlusconi, che si è chiesto come mai il suo partito non abbia scovato un talento simile. «Grillo e Casaleggio avranno meno spazio, conteranno sempre di meno», ha scritto sulla sua pagina Facebook. Una sparata? Un wishfull thinking espresso troppo brutalmente?
Immediatamente Di Maio è stato preso di mira da violente critiche da parte di alcuni parlamentari che tengono alla loro indipendenza, anche nei confronti di un responsabile designato dai leader del movimento. «Nel M5S uno vale uno – gli ha ricordato qualche suo compagno di partito attaccato alla purezza delle origini – È fuori discussione che tu possa contare più degli altri». Alcuni chiedono addirittura un “congresso”, parola sconosciuta nei regolamenti del M5S, che al momento resta ancora proprietà esclusiva della Grillo&Casaleggio Spa.
(Traduzione di Luna De Bartolo)
VIA/ Le Monde