18 dicembre 2018 – Tra Roma è Bruxelles è stato raggiunto «l’accordo tecnico che sarà passato domani al vaglio dei commissari». Così fonti del ministero delle Finanze all’Ansa. Poi la precisazione di fonti di Palazzo Chigi: «Al momento ci sono state solo comunicazioni verbali dei commissari Moscovici e Dombrovskis, ma non c’è ancora la comunicazione ufficiale da parte della Commissione Ue». E ancora: «Allo stato vi è la ragionevole previsione che la proposta che sarà portata domani all’attenzione del Collegio della Commissione sarà positiva, utile a evitare l’infrazione. Ma occorre attendere che si completi la procedura per poter considerare definitivamente conclusa la negoziazione». Dalla Ue arriva invece un secco «no comment».
La comunicazione ufficiale dovrebbe quindi arrivare mercoledì mattina, insieme all’archiviazione della procedura d’infrazione, al termine della riunione settimanale dei commissari europei (in programma alle 9), dove Pierre Moscovici e Valdis Dombrovskis esporranno ai loro colleghi l’intesa raggiunta con Roma. Alle 12 il presidente del Consiglio Giuseppe Conte riferirà al Senato, e allora conosceremo i dettagli dell’accordo con le istituzioni europee.
Oggi era prevista la presentazione al Senato di un maxiemendamento con tutte le modifiche al testo approvato in prima lettura alla Camera, invece, dopo ore di stallo, con le opposizioni che minacciavano di occupare l’Aula, la seduta è stata rinviata.
«Abbiamo ampiamente superato il livello di guardia sulla legge di bilancio. L’incapacità di questa maggioranza ci ha trascinati in piena emergenza democratica. Chiediamo che il presidente Conte venga subito in Aula a spiegare le ragioni di questo intollerabile ritardo. Se Conte ignorerà ancora una volta il Senato, siamo pronti a mettere in pratica la più estrema delle proteste: occuperemo l’Aula. È un appello che rivolgiamo anche agli altri gruppi di opposizione», aveva dichiarato il capogruppo del Pd al Senato, Andrea Marcucci.
Il presidente del Consiglio e il ministro dell’Economia Giovanni Tria, aveva quindi affermato in Aula al Senato il ministro Riccardo Fraccaro, sono pronti «a riferire immediatamente per garantire la centralità del Parlamento e la possibilità di lavori ordinati una volta che la Commissione europea abbia comunicato la sua posizione nei confronti della proposta del governo italiano». Fraccaro ha quindi ricordato che mercoledì mattina alle 9 si riunirà il collegio dei commissari «per formalizzare il parere».
Quindi il governo attende di capire che cosa uscirà fuori dalla riunione di domani della squadra di Juncker, l’ultima prima della pausa natalizia. E stando alle ultime notizie, verrà sancito l’accordo raggiunto con il governo italiano. Un accordo che si spera solido, visto che i più intransigenti tra i commissari avrebbero voluto far scattare già domani la raccomandazione all’Ecofin affinché aprisse formalmente la procedura di infrazione alla riunione del 22 gennaio.
Lunedì mattina, il Governo aveva scritto alla Commissione, mettendo nero su bianco i numeri macro della manovra: deficit non più al 2,4 ma (a pensar male, ci si potrebbe vedrebbe una volontà di confondere le acque) al 2,04 per cento. Uno zero che significa moltissimo: circa sette miliardi di risorse che vanno sottratte da quelle inizialmente previste nella manovra licenziata dal Consiglio dei ministri alla fine di settembre, che si sgonfia da 36 miliardi a poco meno di 30.
Reddito di cittadinanza e quota 100, secondo questo schema, si vedrebbero sgonfiate di 4 miliardi, mentre circa 3 miliardi deriverebbero da nuovi tagli. In particolare, quota 100 vedrà ristretta la sua platea da 430mila beneficiari a circa 300mila grazie a nuovi paletti; il risparmio sarà di 2 miliardi (da 6,7 a 4,7 miliardi). La misura andrà a incidere in misura minore sul deficit strutturale, essendo stata svelata la sua natura sperimentale: resterà in vigore per soli tre anni, fino all’introduzione della possibilità di uscita anticipata dopo 41 anni di lavoro (e contributi versati).
Per quanto riguarda il reddito di cittadinanza, invece, si passerebbe da 9 a 7 miliardi (6 per il reddito e uno per la riforma dei centri per l’impiego): la misura partirà a fine marzo e sarà spalmata quindi su 9 mesi, non più su 12; inoltre, i tecnici stimano che non tutti coloro che ne avrebbero diritto faranno richiesta.
I restanti tre miliardi dovrebbero essere frutto di un ulteriore lavoro di spending review tra ministeri ed enti locali, ma la loro provenienza non è ancora chiara; proprio questa è una delle incertezza che continua a pesare nella trattativa con Bruxelles.
Il problema principale resta però sempre quell’obiettivo di crescita irrealistico – e lo è sempre più, visti i dati rilasciati dall’ISTAT qualche giorno fa – contenuto nella manovra: 1,5 per cento nel 2019. Una cifra che non trova alcun riscontro concreto, dato che tutti gli indicatori fanno prevedere una crescita che, se tutto va bene, sarà ferma all’1 per cento. Proprio per questo, la Commissione ne chiede una revisione, dall’1,5 all’1 per cento, appunto.