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La mossa di Draghi: i tanti vantaggi di un euro più debole

L’acquisto di titoli di Stato da parte della Bce aiuterà ad attrarre investitori internazionali grazie alla moneta più competitiva, ma all’Italia non può bastare: sarà necessario proseguire con le riforme su lavoro, Fisco e burocrazia per uscire dalla recessione.

Il mio commento sulla mossa di Mario Draghi, pubblicato stamattina dal Corriere della Sera.

23 gennaio 2015 – Si stampa moneta, sessanta miliardi al mese, fino a oltre mille miliardi di euro tra marzo 2015 e settembre 2016: fiat lux. È arrivato finalmente il famoso Quantitative easing (Qe), ovvero il tentativo della Banca centrale europea di creare moneta comprando titoli di Stato in modo da produrre una dose massiccia di liquidità allo scopo di combattere la deflazione — cioè la continua discesa dei prezzi — e promuovere la crescita.

Non tutti sono d’accordo, soprattutto a Berlino. Ma la maggioranza ha prevalso, e il lancio del Qe è alla fine un riconoscimento collettivo da parte dell’Europa che una politica monetaria tradizionale non funziona più, in un momento in cui i tassi d’interesse sono già a zero e la mancanza di domanda interna sembra cronica.

Ma lo stimolo all’economia funzionerà? O la mossa della Bce sarà, come temono in tanti, «troppo poco e troppo tardi»?

A mio avviso, il Quantitative easing potrebbe inizialmente ispirare un po’ di fiducia e di speranza, come abbiamo già visto nella reazione delle Borse subito dopo l’annuncio di Mario Draghi. Lo stimolo economico potrebbe rafforzare i bilanci delle banche ma non garantisce che ne beneficeranno con nuovi crediti le piccole imprese.

Sicuramente il Qe renderà la vita più tranquilla ai Paesi con debiti molto elevati, e questo per una nazione come l’Italia non è irrilevante. Ma che possa essere utile (bene e presto) come strumento contro la deflazione, è poco chiaro, a causa degli effetti dei bassi prezzi del petrolio.

Ma l’effetto più importante delle misure della Bce nel breve termine sarà quello di capire se la mossa di Draghi avrà come conseguenza l’indebolimento dell’euro.

In altre parole, più di un improvviso impulso di crescita, l’impatto più immediato e positivo dello stimolo potrà essere un ulteriore deprezzamento della moneta unica, tendenza già accelerata dalle aspettative prima dell’annuncio di ieri.

L’euro potrebbe indebolirsi ancora nei prossimi mesi, fino a 1,10 contro il dollaro o addirittura raggiungendo la parità. Il fatto che a Washington la Federal Reserve sembri propensa ad alzare i tassi americani quest’anno dovrebbe contribuire a rafforzare il dollaro rispetto all’euro. L’indebolimento dell’euro dovrebbe essere una grande notizia per l’eurozona e per l’Italia.

Oltre agli effetti molto rapidi e positivi sulle imprese che vendono il made in Italy nei mercati che si trovano al di fuori dell’area della moneta unica, questo ha l’effetto di rendere gli investimenti nell’eurozona più convenienti per gli americani e per chiunque altro detenga dollari. Questo fattore, assieme alla percezione che l’Italia stia iniziando a riformare il mercato del lavoro e la sua ipertrofica burocrazia, dovrebbe aiutare a incrementare gli investimenti stranieri diretti nel Paese.

Per quanto riguarda l’argomentazione secondo la quale il Quantitative easing stimolerà la crescita e l’occupazione, non è detto avvenga così facilmente nel breve periodo. Potrà accadere ma in una prospettiva più a lungo termine. Negli Stati Uniti siamo passati attraverso almeno tre diversi round di stimoli economici dopo il collasso di Lehman Brothers nel 2008, e la Fed ha investito più di 3 miliardi di euro prima che si iniziasse ad avere un forte impatto macroeconomico.

Sarebbe corretto da parte del governo italiano accompagnare, potendo, la politica della Bce con investimenti pubblici importanti e forti sgravi diretti alle imprese private per incentivarle a investire in settori strategici come infrastrutture e turismo. Questo sì, aiuterebbe a creare occupazione e domanda interna.

Ma è chiaro che non potendo superare i limiti posti dal famoso rapporto deficit-Pil, neanche gli stimoli all’economia saranno in grado di risolvere la situazione. Anzi.

Se gli operatori internazionali aumenteranno i loro investimenti in Italia non dovrà essere solo perché si compra meglio (costa meno con il dollaro forte), ma perché saranno convinti che l’Italia si sta modernizzando davvero in termini di flessibilità nel mercato del lavoro e per quanto riguarda la giungla di regole e incertezze rappresentata dalla sua burocrazia.

Alla fine mi trovo d’accordo con le parole di Larry Summers, l’ex ministro del Tesoro americano, che giovedì ha detto che il Quantitative easing «non è una panacea» per l’Europa. Non lo è neanche per l’Italia, anche se Roma è contenta dell’annuncio di Draghi. Non cambia l’importanza di proseguire con tutte le riforme possibili sul fronte dell’economia, del mercato del lavoro, del Fisco e della burocrazia.

Per l’Italia, per uscire davvero dalla recessione e stagnazione in atto già da diversi anni, ci vorrà più del Quantitative easing. La mossa di Draghi aiuta ma non basta.

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