Pubblico qui – in esclusiva per i lettori di alanfriedman.it – un brano tratto dalla Nota dell’Autore del mio nuovo libro, My Way. Berlusconi si racconta a Friedman, in cui spiego come è nato questo progetto.
All’inizio del 2014 il mio editore italiano, Rizzoli, mi ha proposto di provare a convincere Silvio Berlusconi, il leader più esuberante e controverso della storia politica recente, a raccontare a me la storia della sua vita. Conosco Berlusconi da trent’anni, da quando ero arrivato a Milano come corrispondente del «Financial Times» di Londra, negli anni Ottanta. Sono stato, in alcune circostanze, un suo critico feroce; poi la sua storia personale ha cominciato a incuriosirmi. Non si tratta solo delle presunte feste del bunga bunga o dei processi per corruzione: ad affascinarmi è la sua vita straordinaria, epica. Ho seguito da vicino gli avvenimenti che hanno portato alla sua caduta nel 2011, la condanna in Cassazione per frode fiscale nell’agosto 2013, la sua successiva espulsione dal Senato.
Quando sono andato per la prima volta a chiedergli se fosse interessato a rendersi disponibile per la realizzazione di questo libro, non avevo grandi speranze. Era la tarda mattinata del 12 marzo 2014. Eravamo nella sua residenza romana, al piano nobile di Palazzo Grazioli, tra soffitti affrescati e tappezzerie dorate. Berlusconi, che allora aveva settantasette anni, aveva una buona opinione di me, in primo luogo perché sono americano (dunque non un giornalista italiano, secondo lui pieno di preconcetti nei suoi confronti), ma anche perché si sentiva riscattato dal libro che avevo appena pubblicato, Ammazziamo il Gattopardo: un effetto collaterale che certo non rientrava tra i miei obiettivi.
Ho informato Berlusconi che avevo deciso di scrivere un libro sulla sua vita e gli ho proposto di concedermi piena cooperazione e libero accesso ai suoi archivi fotografici e video, ai familiari, agli amici, ai partner d’affari e agli alleati politici. Ho spiegato che non avrebbe avuto nessun potere di veto o di controllo sul libro ma doveva soltanto rendersi disponibile per numerose interviste tra la primavera 2014 e la fine dell’estate 2015. Lui prima mi ha fissato a lungo negli occhi, e poi mi ha spiegato che nell’ultimo decennio aveva rifiutato almeno quindici proposte simili. Ho aggiunto che non si sarebbe trattato solo di un libro, ma anche di venti o trenta interviste televisive, modellate proprio sull’esempio della serie Frost-Nixon del 1977.
Lui ha continuato a fissarmi, mormorando qualcosa sul fatto che, era chiaro, “oggi tutto deve essere multimediale”, e all’improvviso mi ha teso la mano. Gliel’ho stretta, e Berlusconi è stato chiarissimo: “Mi fido di lei: so che racconterà la mia storia in un modo imparziale e onesto”. L’ho ringraziato della fiducia e gli ho detto esplicitamente: “Non sarà un’agiografia. Non scriverò la storia di un santo o di una vittima, non le sarò ostile ma non le farò nessun favore, nessuno sconto. Scriverò in modo equilibrato la storia di una vita straordinaria, così come la vedo io; ma lei risponderà alle mie domande su ogni capitolo della sua storia, e tutto sarà registrato”. Silvio Berlusconi ha accettato le mie condizioni.
Nei diciotto mesi che sono seguiti, dalla tumultuosa primavera 2014 alla fine dell’estate 2015, ho potuto osservare Berlusconi molto da vicino, in primo luogo a casa sua. Ci sono state molte conversazioni e molte interviste in un periodo pieno di emozioni per lui, un periodo segnato da robuste dosi di amarezza e qualche sconfitta, ma allo stesso tempo anche da continui progetti di rinascita politica.
Mi domandavo cosa avrebbe raccontato Berlusconi dell’incredibile, epico viaggio della sua vita. Col passare delle settimane e dei mesi, non sarei certo rimasto deluso.
Brano tratto dalla Nota dell’Autore di My Way. Berlusconi si racconta a Friedman (Rizzoli, 2015)