La crisi del debito europeo, l’attacco degli speculatori, gli ultimi mesi del governo Berlusconi, l’arrivo del tecnocrate Mario Monti. Tutto questo nel capitolo 11 – Intrigo Internazionale – di My Way: BERLUSCONI si racconta a FRIEDMAN, di cui pubblichiamo un brano. Buona lettura!
23 dicembre 2015 – Christine Lagarde, nonostante le vicissitudini legali a Parigi, era considerata dalla comunità internazionale un’impeccabile sostituta di DSK alla direzione del Fondo monetario. In Francia, la sua nomina rappresentò una grande vittoria politica di Sarkozy: il rivale socialista, DSK, era fuori gioco per sempre e il suo ministro delle Finanze (e braccio destro) era il capo dell’Fmi. Sarkozy si sentiva benissimo.
Con Lagarde al timone del Fondo monetario e la Francia alla presidenza di turno del G8 e del G20 per tutto il 2011, avrebbe finalmente potuto dimostrare il suo potenziale e diventare la vera guida d’Europa. Come avrebbe scritto Hillary Clinton, Sarkozy agognava essere «l’uomo al centro dell’azione». Tutti coloro che lo incontrarono quell’anno non avevano dubbi: voleva essere colui che, da solo, avrebbe liberato i mercati finanziari dagli speculatori, ottenuto dalle agenzie di rating il mantenimento della tripla A alla Francia, risolto la crisi del debito greco, salvato l’euro, guidato la guerra contro Gheddafi, promosso la Primavera araba, e infine guadagnato la rielezione nel 2012. Secondo un ex primo ministro europeo che nel 2011 lo incontrò più di una dozzina di volte, Sarkozy era «ubriaco di potere e di ambizione, si vedeva come la star assoluta dello show», e passò gran parte di quell’anno in uno stato di frenesia: «Il suo scopo era sopraffare, intimorire, ottenere con la forza ciò che voleva».
A giugno, la crisi dell’Eurozona era ormai a livelli di allarme rosso. Era considerata un rischio per l’economia globale. La Casa Bianca era preoccupata del possibile crollo della moneta unica. Per la Grecia, Unione Europea e Fmi stavano preparando un nuovo piano di salvataggio da 110-120 miliardi di euro. Il Portogallo aveva appena concordato un pacchetto di aiuti da 78 miliardi. In precedenza lo stesso era accaduto all’Irlanda. Il «Financial Times» rese popolare un nuovo acronimo, Pigs, per indicare le nazioni maggiormente indebitate su cui si appuntava la speculazione finanziaria: Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna (a cui si era aggiunta l’Italia, tanto che l’acronimo era diventato Piigs) erano tutte a rischio.
Alla fine di giugno, in un altro vertice europeo, Berlusconi e Sarkozy si incontrarono di nuovo ed ebbero l’ennesimo sgradevole scambio di opinioni, perché Berlusconi non era ancora in grado di mantenere la promessa sulle dimissioni di Bini Smaghi dalla Bce. I leader europei riuscirono ugualmente a formalizzare la nomina di Draghi a presidente della Banca centrale europea. Anche a Washington, al Fondo monetario internazionale, non ci furono sorprese e Christine Lagardedivenne direttore operativo. Sarkozy parlò subito di «una vittoria per la Francia».
L’Fmi che Lagarde aveva ereditato da DSK andava predicando il vangelo dell’austerity agli europei colpiti dalla crisi. In quel giugno, la Grecia ricevette la raccomandazione di imporre nuove misure di rigore, altrimenti i prestiti di salvataggio sarebbero stati a rischio. Gli speculatori presero a parlare del pericolo di contagio, e così cominciarono a liberarsi dei bond italiani. Questo fece schizzare verso l’alto i rendimenti, e di conseguenza il costo del nuovo debito per il governo. Fu così che gli italiani impararono una nuova parola: spread.
Berlusconi era alle prese con una coalizione divisa da tensioni e rancori e con un governo indebolito da lotte intestine. Con il ministro delle Finanze, Giulio Tremonti, quasi non parlava più. L’opposizione lo martellava giorno dopo giorno. Lo scandalo del bunga bunga produceva accuse sempre nuove, e lui continuava a negarle. Ma Berlusconi era sempre il primo ministro in carica, il capo di governo che aveva vinto le elezioni. Indebolito, ma nel pieno dei suoi poteri.
A questo punto, a metà 2011, non si poteva ancora parlare di un intrigo internazionale per far cadere Berlusconi. Questo sarebbe successo più tardi, dopo l’estate. Ma non c’era dubbio che, sul fronte interno, forze assai potenti stavano preparando il terreno per sostituirlo. In quel fatale giugno 2011 si mise in moto una serie di eventi, a Roma e a Milano, che avrebbe cambiato la storia d’Italia, e forzato la Costituzione fin quasi al punto di rottura. Il presidente della Repubblica avviò i primi contatti segreti con l’uomo che lui stesso avrebbe nominato primo ministro al posto di Berlusconi, il professore ed ex commissario europeo Mario Monti (…).