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Pensioni – Il commento di Friedman: «La sentenza della Consulta? Non aiuta»

18 maggio 2015 – È stata una sentenza politica? Potrebbe essere. E il decreto governativo, che prevede rimborsi da 278 a 750 euro, è una mossa elettorale? Possibile anche questo, ma si tratta comunque di una risposta alla decisione della Corte costituzionale, che alla fine di aprile ha dichiarato illegittimo il blocco delle rivalutazioni sui trattamenti pensionistici di importo superiore a tre volte il minimo Inps (circa 1500 euro lordi), congelate nel 2012 e 2013 dal governo Monti con il decreto Salva Italia del 2011. Una prima risposta era necessaria, d’obbligo.

Ho imparato in questi anni che la Corte costituzionale in Italia non funziona come la Corte Suprema in America. Lì quando c’è una sentenza è nettissima, chiara, da eseguire. Qui, con questa sentenza della Consulta, sembra che ci sia spazio per interpretare e discutere. Ma non c’è dubbio che la sentenza della Consulta sia un disturbo per la politica economica del governo. Rischia di sabotare non solo il “tesoretto” da due miliardi promesso da Renzi, ma molto di più.

Sulle pensioni, nel mio libro Ammazziamo il Gattopardo, scrissi che bisogna tagliare del 25% le pensioni d’oro che superano la soglia dei 150mila euro all’anno. Siamo seri! E scrissi anche che a un certo punto bisognerà rendersi conto che un quarto dei 270 miliardi stanziati all’anno per la spesa previdenziale non sono coperti dai contributi versati (ma derivano dal vecchio e iniquo sistema retributivo), e sarebbe opportuno un taglio deciso per quella parte degli assegni sopra i 3000 euro non calcolata con il sistema contributivo. Non si possono sostenere all’infinito questi “regali dello Stato”, sono soldi dei contribuenti: una sovvenzione fornita da alcuni milioni di contribuenti ad altri milioni di italiani. La questione delle pensioni non coperte dei contributi è la vera questione che Tito Boeri sicuramente solleverà prima o poi. E una questione per Renzi dopo le elezioni, a giugno credo. Poi parleremo davvero di pensioni e di equità.

Non dobbiamo però perderci in questa polemica, ma proseguire con tutte le riforme, tutte quelle che UK, Germania e altri paesi europei hanno già fatto dieci o vent’anni fa. Solo così è possibile migliorare le condizioni per creare nuovi posti di lavoro. Piaccia o meno, l’Italia deve continuare con le riforme, e a mio avviso anche nel 2016, con nuovi e veri tagli al costo del lavoro, all’Irap, all’Ires e anche all’Irpef per il ceto medio, che rimane ancora tartassato.

Questo apre la questione di come si possano trovare i soldi per coprire una riduzione della pressione fiscale se ci servono 18 miliardi per sistemare la situazione pensionistica dopo la sentenza della Consulta. Certo, la decisione della Consulta blocca qualsiasi iniziativa di stimolo nel breve termine. Questa è la vera tragedia della sentenza: se bisogna destinare quei soldi ai rimborsi, come possiamo trovare liquidità per stimolare la domanda interna, i consumi? La ripresa italiana rimane in gran parte trainata dal settore export, che va bene ma non basta. Bisogna ancora trovare il modo di fare girare il denaro nell’economia reale.

La liquidità di Draghi non è arrivata alle piccole imprese. Solo una domanda interna rafforzata potrebbe fare girare l’economia. Ecco la vera conseguenza della sentenza della Consulta: in un momento di ripresa fievole ci toglie la possibilità di seguire una politica keynesiana che potrebbe stimolare la domanda e accelerare la creazione di nuovi posti di lavoro. Era già difficilissimo spingere la domanda interna prima di questa sentenza, per colpa del tetto del 3% sul rapporto deficit-Pil. Ma lì c’era spazio per Renzi, poteva spingere anche fino al 2,9% volendo. Ma con la sentenza cambia tutto, purtroppo.

La ripresa è ancora fragile e non è in grado di abbassare il tasso di disoccupazione in modo significativo, né quest’anno, né l’anno prossimo. La sentenza sulle pensioni restringe i margini di manovra del governo, già limitati a causa dei severi parametri deficit/Pil imposti da Maastricht. Decreta che una certa somma – che si tratti di 18 miliardi o di una somma inferiore stabilita attraverso un’interpretazione politica – va rimborsata. E che quei soldi non sono più disponibili per una politica economica espansiva che avrebbe aiutatato l’occupazione, né per aiutare i più poveri.

In questo contesto, la sentenza della Consulta non aiuta. Non è buona.

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