L'ICONOCLASTA

Per gli Usa sono attimi drammatici. Obama parla del rischio default. Ma per l’Italia è un momento funesto, con l’immane tragedia di Lampedusa. In politica, arriva il sì della Giunta alla decadenza di Berlusconi. Ma il vero nodo sarà l’approvazione di una legge di stabilità efficace per il Paese.

4 ottobre 2013 – Orrore è forse la parola meno inadeguata per esprimere l’apocalisse di Lampedusa, dolorosamente sotto i nostri occhi. Mi limito a offrire soltanto un commento, ed è questo: purtroppo non credo, nonostante il giorno di lutto in Italia e le espressioni di solidarietà che arriveranno sicuramente dall’Europa intera, che cambierà qualcosa. E dico questo perché dubito che la Germania e il resto del Vecchio Continente vedranno Lampedusa come un loro problema, qualunque sia la loro retorica. E quindi sarà una questione che l’Italia dovrà affrontare in gran parte da sola, a cominciare da una presenza più costante e notevolmente rafforzata della Guardia Costiera.

Intanto, nella capitale del mio Paese, gli Stati Uniti d’America, c’è in atto un braccio di ferro non solo vergognoso ma pericoloso per l’economia mondiale. Il fatto che un gruppo di politici estremisti, provinciali e ignoranti come quelli del Tea Party riesca a condizionare, o addirittura a tenere in ostaggio, il resto del Partito repubblicano, causando così lo shutdown e portandoci, come paventato dal Presidente, a rischio default, mi lascia senza parole.

E anche lo stesso Obama non sta mostrando una leadership efficace. Definirei la sua reazione tra il demagogico e l’isterico.

La mia valutazione, per quanto riguarda il rischio americano, è che certamente sarebbe gravissimo se si arrivasse al 17 ottobre (giorno della scadenza) senza trovare un compromesso sull’innalzamento del tetto sul debito Usa. Ma credo che alla fine si arriverà in tempo a una soluzione, anche se potrebbe essere all’ultimo minuto. Il Presidente Obama e lo Speaker della House of Representatives repubblicano, John Boehner, sono entrambi demagoghi, ma non sono cretini. Quindi un accordo si troverà, perché non esiste un’alternativa.

Invece, nella politica italiana, sono due i punti decisivi. Uno riguarda la sua stabilità politica, mentre l’altro ci dirà se il Paese farà veri sforzi per agganciare una ripresa ancora fragile e debole. Ora che è stata scongiurata la crisi e ora che Enrico Letta ha vinto la fiducia.

Il primo tema è sulla decadenza di Silvio Berlusconi, votata oggi a maggioranza dal Senato. Sarà interessante a vedere: a) come si comporterà l’Aula di Palazzo Madama, che nei prossimi giorni dovrà ratificare la proposta della Giunta, e b) come reagiranno le svariate anime del Pdl o Forza Italia o la corrente del Nuovo Partito Democristiano (che ormai esiste di fatto).

Il secondo tema è la legge di stabilità. È positivo e interessante che il premier abbia convocato i sindacati lunedì prossimo a Palazzo Chigi per parlarne, per poi incontrare mercoledì prossimo anche il mondo imprenditoriale. Mi ricorda i giorni della “concertazione” degli anni Novanta.

L’importante però non è come lo si chiami o come si affronti ma che si faccia, e sul serio.

Io spero che il taglio del cuneo fiscale sarà sostanzioso e non soltanto di pochi miliardi. E spero che sarà finanziato attraverso una riallocazione di fondi ricavati attraverso veri tagli alla spesa pubblica e non con anticipazioni di acconti sulle tasse o introducendone di nuove.

Ma vorrei notare, anche se può sembrare prematuro parlarne oggi, che anche un taglio del cuneo fiscale, da solo, non sarà abbastanza: senza uno stimolo serio della domanda interna rischiamo una situazione in cui le imprese si troveranno solamente a risparmiare abbastanza da poter pagare i loro debiti. E una crescita dello 0,3% o dello 0,7% – o anche dell’1% nel 2014 – non sarà sufficiente, anche dopo un taglio delle tasse sul lavoro, a creare nuova occupazione.

Anzi, la disoccupazione in Italia è destinata a crescere ancora, almeno nei prossimi mesi.

ULTIMI ARTICOLI