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Perché l’Italia non cresce di più. L’Huffington Post pubblica un brano da “Dieci cose da sapere sull’economia italiana”

«La crescita è così lenta da non farci sentire nulla di ciò che viene percepito in un Paese che attraversa un periodo di espansione robusta e continuativa». L’Huffington Post ha pubblicato un estratto dal mio nuovo libro, “Dieci cose da sapere sull’economia italiana prima che sia troppo tardi” (Newton Compton, 2018). Lo riportiamo qui per voi. Buona lettura!

14 maggio 2018 – L’Italia non cresce a un ritmo più rapido e sostenuto per diversi motivi. Cerchiamo di capire il perché.

Una crescita intorno all’1,5 per cento, come quella stimata per il 2017, può sembrare buona, dopo anni di crisi e crescita zero. Ma è sufficiente per generare tanti nuovi posti di lavoro o risolvere il problema del debito pubblico? La risposta è no. Purtroppo in questo momento storico la crescita in Italia è ancora troppo fiacca. La ripresa di cui parlano i politici è reale, specialmente nei settori dell’export, ma l’Italia resta la maglia nera in Europa per crescita del Pil: tutti fanno meglio di noi. Ciò vuol dire che milioni di italiani non stanno percependo alcun miglioramento nelle loro condizioni economiche.

La crescita è così lenta da non farci sentire nulla di ciò che normalmente viene percepito in un Paese che attraversa un periodo di espansione robusta e continuativa. Una crescita troppo lenta non innesca una forte domanda di nuove assunzioni e non fa aumentare quella cosa misteriosa ma positiva per l’economia che si chiama produttività.

In Italia la produttività è molto inferiore a quella media degli altri Paesi europei. Questo gap si chiama mancanza di competitività. Il risultato di ciò è che le imprese italiane non vendono abbastanza e quindi non creano un incremento sufficiente del loro fatturato da permetterci di guadagnare di più. Inoltre il costo del lavoro per chi investe in Italia rimane troppo alto a causa soprattutto delle tasse e dei contributi obbligatori. Eccoci arrivati, dunque, alla spiegazione del famoso cuneo fiscale, ovvero la differenza tra quanto costa un dipendente al datore di lavoro e quanto riceve al netto lo stesso lavoratore.

Una ripresa vera significa portare avanti per diversi anni una crescita forte, sopra l’1,5 per cento e più vicina al 2 per cento. Nel 2017 l’economia italiana ha sicuramente invertito la tendenza, ed è stato il primo anno di quello che si potrebbe definire l’inizio di una ripresa. Ma nel 2018 ci sono ancora enormi aree del Paese in cui si sente un forte disagio sociale ed economico. Accanto ai quasi 5 milioni di italiani che vivono sotto la soglia di povertà ce ne sono altri 8,5 in condizioni di povertà relativa e a rischio di esclusione sociale. Numeri che sono aumentati vertiginosamente nell’ultimo decennio: dal 2006 il numero di italiani che vive in condizioni di povertà assoluta è triplicato. E questo si traduce facilmente in mancanza di speranza, in rabbia e paura.

Negli ultimi vent’anni, in media, la crescita italiana si è attestata tra lo zero e l’1 per cento. La crisi ci ha colpito duramente: il Pil del 2016 era ancora inferiore di 7 punti percentuali a quello dell’inizio del 2008. E tutte le previsioni ci dicono che il nostro prodotto interno lordo non tornerà ai livelli pre-crisi fino al 2025. Forse. Ecco il terribile prezzo che paghiamo per questi anni di crisi. Un Paese impoverito che stenta a trovare la fiducia e a credere nel suo stesso futuro nonostante la ripresa in corso.

Perché l’Italia non cresce di più?

L’Italia cresce così poco perché, nonostante la notevole bravura di imprenditori e lavoratori, la sua economia ha una struttura ancora inefficiente, soprattutto se paragonata alla Germania o al Regno Unito. Nel XXI secolo, nel mondo globalizzato, l’investitore che crea posti di lavoro può decidere dove investire. Naturalmente tende a scegliere quei Paesi dove il costo del lavoro è minore e la burocrazia e il sistema legale sono più efficienti e semplici.

L’Italia, in altre parole, non riesce a generare un ritmo di crescita più in linea con la media europea, che nel 2017 è stato vicino al 2,4 per cento. E tutto a causa di una serie di impedimenti, vincoli, ostacoli spesso creati da noi stessi. L’economia italiana non cresce di più per le tante zavorre che le impediscono di muoversi, per i numerosi problemi strutturali come il debito e le sofferenze delle banche. Se gli italiani sono costretti a lavorare sempre per pagare gli interessi sui prestiti e sui debiti, allora non avranno mai un soldino da metter via per il futuro. E se, inoltre, quel poco che riescono a guadagnare viene tassato fino all’inverosimile, è facile capire perché tanti di loro si sentano tartassati e siano giustamente arrabbiati. E non sorprende che, agli occhi di una fetta consistente della popolazione, l’evasione fiscale non rappresenti tanto un reato quanto la reazione allo Stato che impone ai suoi cittadini delle condizioni intollerabili. Senza considerare gli effetti della corruzione che rallenta la crescita, distorce il funzionamento del mercato libero e, alla fine, ci impoverisce. Un vero cancro che rende imprevedibili i processi decisionali, minando la certezza del diritto e disincentivando gli investimenti, e che favorisce l’adozione di politiche pubbliche piegate a interessi particolari invece che collettivi.

I motivi per cui l’Italia non cresce di più sono molteplici, ma la spiegazione più semplice è che, a differenza di altri grandi Paesi, e grandi economie come la Germania e il Regno Unito, l’Italia non ha realizzato un vasto programma di riforme dell’economia venti o trent’anni fa.

Ecco perché l’Italia non cresce di più, perché rimane indietro, in posizione arretrata, come l’ultima della classe. È una situazione tragica visto che è una nazione piena di energia e dinamismo, di gente che lavora sodo. Nonostante le tante ingiustizie e un sistema squilibrato rimane un Paese che riesce a sfornare eccellenze nei settori della siderurgia e della metalmeccanica, in quello manifatturiero e automobilistico, nell’industria alimentare, nel campo della moda e del design, oltre che nella produzione delle macchine utensili, fino alle industrie che si occupano di innovazione tecnologica e di ingegneria di precisione. Sorprendente, vero? Ma il vero miracolo italiano è che questo Paese, malgrado tutti i problemi e le zavorre, riesce a essere la terza economia europea e la seconda potenza manifatturiera dopo la Germania. Se l’Italia riesce a raggiungere questi risultati con un braccio legato dietro la schiena, immaginate cosa potrebbe diventare con una burocrazia efficiente e tasse più basse, e delle regole chiare per tutti.

Questo brano è tratto dal nuovo libro di Alan Friedman, “Dieci cose da sapere sull’economia italiana prima che sia troppo tardi” (Newton Compton Editori).

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