30 novembre 2018 – Nel terzo trimestre del 2018, rileva l’ISTAT, il Pil è diminuito dello 0,1% rispetto al trimestre precedente. Dopo 14 trimestri di crescita ininterrotta (per quanto al di sotto delle aspettative) il Pil registra il primo dato congiunturale negativo; non accadeva dal secondo trimestre del 2014. Il dato è stato rivisto al ribasso rispetto alla stima preliminare di un mese fa, che vedeva una crescita nulla (0,0%).
«La flessione, che segue una fase di progressivo rallentamento della crescita», scrive l’ISTAT nel suo report, «è dovuta essenzialmente alla contrazione della domanda interna, causata dal sovrapporsi di un lieve calo dei consumi e di un netto calo degli investimenti, mentre l’incremento delle esportazioni, pur contenuto, ha favorito la tenuta della componente estera».
Il forte calo degli investimenti appare legato a doppio filo all’incertezza sulle prospettive economiche del Paese: si tratta di una crisi di fiducia (come si evince anche dal fallimento dell’asta del Btp Italia), ma il governo ritiene di non esserne in alcun modo responsabile, e scarica tutta la colpa su chi l’ha preceduto.
«Nelle ultime stime del Pil c’è lo 0,1% in meno e questo significa che la manovra del governo precedente, che non era espansiva, non ha funzionato. La manovra di Gentiloni non ha fatto ripartire l’economia nel 2018, ma nel 2019 ripartirà perché stiamo iniettando risorse fresche», afferma Luigi Di Maio, a margine di un evento al Mise. Gli fa eco l’alleato leghista: «Il pil negativo – dice Salvini – è il risultato delle vecchie manovre basate su tagli e austerità. Nel 2019, con la nostra manovra fondata su più lavoro e meno tasse, l’Italia tornerà a crescere». E il presidente del Consiglio, a Buenos Aires per il G20, ai cronisti che gli chiedevano un commento sulla revisione delle stime del Pil dell’ISTAT, si è limitato a rispondere: «Lo faremo crescere».
Su base annua, il Pil è aumentato dello 0,7% nei confronti del terzo trimestre dello scorso anno, mentre la variazione acquisita per il 2018 è pari a +0,9%, mentre nella Nota di aggiornamento al Def, il governo stima una crescita dell’1,2% per quest’anno: ciò vuol dire che per rispettare la stima del Mef, il Pil dovrebbe crescere dell’1,2% nel quarto trimestre, quando tutti gli indicatori vedono, tra ottobre e dicembre, una crescita piatta, se non addirittura negativa. Lo spettro della recessione (due trimestri consecutivi di diminuzione del Pil) appare minaccioso all’orizzonte.
E per il 2019 la situazione appare ancora più complicata: il governo ha stimato una strabiliante crescita dell’1,5%, quando le previsioni di tutte le più autorevoli istituzioni, nazionali e internazionali, gravitano intorno all’1%. Parliamo di una crescita maggiore di almeno mezzo punto, e tutto questo in un contesto che vede un rallentamento del ciclo economico internazionale e incertezze, sempre a livello globale, legate al protezionismo e alle tensioni commerciali.
Cosa significa tutto questo per una manovra economica, quella del governo gialloverde per il 2019, che si basa su stime di crescita fantasiose? Che tutto appare in procinto di crollare come un castello di sabbia. Vuole dire che il governo sarà costretto a rivedere i rapporti tra deficit e Pil e tra debito e Pil i quali, già alla luce dei dati disponibili oggi, appaiono sballati.
L’esecutivo legastellato continua a scommettere sull’effetto moltiplicatore delle misure contenute nella manovra, ma secondo tutti gli analisti degni di questo nome, si tratta solo di una pia illusione.
Lunedì la legge di Bilancio approda alla Camera, e il governo non esclude che questa verrà blindata con la fiducia. Lo stesso giorno si riunirà l’Eurogruppo (ovvero i ministri delle Finanze della zona euro) per discutere dei bilanci degli Stati membri, ed è quasi certo che nel rapporto finale ci sarà un richiamo all’Italia sul debito. Martedì toccherà all’Ecofin, ovvero a tutti i ministri delle Finanze dell’Unione (giovedì si è riunito il Comitato economico e finanziario del Consiglio europeo, organismo composto di alti funzionari dei Paesi membri e delle loro banche centrali, che hanno sostanzialmente approvato la bocciatura della Commissione e condividono la decisione di aprire una procedura per deficit eccessivo), che potrebbero già votare l’avvio della procedura nei confronti dell’Italia. Tutto dipenderà dall’esito delle trattative che stanno avendo luogo in queste ore tra Roma e la Commissione, che potrebbe decidere di posticipare tutto a gennaio.
Ma la macchina è ormai innescata, e per bloccarla non basterà la diplomazia.