L’eliminazione dei fattori di incertezza legati alla Brexit, così come l’allentamento delle tensioni commerciali tra gli USA e la Cina, incideranno positivamente. La più grande incognita riguarda la corsa alla Casa Bianca. Il mio editoriale sulle prospettive di crescita per il 2020, pubblicato su La Stampa.
13 gennaio 2020 – L’economia globale, che ha farfugliato nell’ultimo anno tra incertezze sulle guerre commerciali e sulla Brexit, nel 2020 potrebbe essere pronta a godere di una ripresa, anche se modesta ed estremamente graduale. La parola chiave è graduale. Il rallentamento potrebbe finalmente volgere al termine; tuttavia, il miglioramento dei tassi di crescita, che dovrebbe avvenire principalmente nella seconda metà dell’anno, sarà così debole che in alcuni Paesi si noterà a malapena.
L’Italia, ad esempio, anche nel 2020 si confermerà il fanalino di coda della zona euro, con un incremento del Pil atteso intorno allo 0,5 per cento. Nel 2019 l’economia mondiale ha osservato il tasso di crescita più lento dell’ultimo decennio, pari ad appena il 3 per cento. Una performance mediocre dovuta ai conflitti commerciali che hanno diminuito le esportazioni, e quindi la produzione industriale, poiché le scorte sono state ridotte, e di conseguenza anche la fiducia e gli investimenti delle imprese. Ma se davvero all’orizzonte c’è una tregua armata, o un allentamento delle tensioni commerciali, soprattutto tra gli Stati Uniti e la Cina, ciò dovrebbe essere sufficiente per dare un po’ di fiducia sia ai mercati azionari sia ai leader delle imprese. Allo stesso tempo, la chiarezza sulla questione Brexit, al di là delle conseguenze per il popolo britannico, elimina l’incertezza che aveva turbato gli investitori internazionali.
In altre parole, tutti gli ingranaggi sono al posto giusto, e la macchina dell’economia sembra diretta verso una graduale, sebbene limitata ripresa verso la metà del 2020. In termini globali, ciò si traduce in un tasso di crescita atteso intorno al 3,4 per cento.
Nel 2019, la crescita del Pil negli Stati Uniti si è attestata intorno al 2 per cento, mentre le previsioni per il 2020 per la zona euro e il Giappone superano di poco l’1 per cento. La Cina, che ha vissuto anni di crescita turbo, oltre il 7 e l’8 per cento, nel 2019 probabilmente avrà fatto poco meglio del 6 per cento, e sarà fortunata se riuscirà ad ottenere lo stesso risultato nel 2020. Come già detto, non ci aspetta una stagione di forte crescita: si tratta piuttosto di una fluttuazione verso l’alto.
Guardando più da vicino alla zona euro, il tasso di crescita nel 2019 è stato pari a un misero 1,1 per cento, e per il 2020 si stima un miglioramento modesto, intorno all’1,2 per cento. L’Italia, che ha chiuso l’anno in stagnazione, forse in crescita di appena lo 0,1-0,2 per cento, dovrebbe migliorare leggermente e raggiungere lo 0,4 o 0,5 per cento nel 2020, restando quasi sicuramente il fanalino di coda nella zona euro in termini di crescita.
La politica monetaria dell’Eurozona resterà espansiva, ma per Christine Lagarde, la donna politica francese che ha preso il posto di Mario Draghi alla Bce, la sfida sarà quella di riuscire a guidare un’istituzione divisa, cercando allo stesso tempo di incoraggiare la Germania a utilizzare il suo cospicuo avanzo di bilancio per finanziare investimenti pubblici in infrastrutture, allo scopo di fornire maggiore stimolo fiscale. Non sarà affatto semplice.
Ma proprio qui risiede il grande paradosso dell’Eurozona: i Paesi con gli avanzi di bilancio più generosi, come la Germania e i Paesi Bassi – che potrebbero permettersi una politica fiscale espansiva – sono riluttanti a mettere in campo stimoli significativi, mentre quelli che ne avrebbero disperatamente bisogno, come l’Italia, sono così fortemente indebitati da non poter intervenire con decisione. Ad esempio, nella manovra italiana 2020, accanto al blocco dell’aumento Iva, vengono attribuiti a questo scopo solo 3 miliardi, per una piccola, quasi simbolica, riduzione del cuneo fiscale. Mentre il debito, che ha superato la cifra monstre di 2.400 miliardi, nel 2019 è aumentato sensibilmente e, nonostante le previsioni del governo lo collochino, a partire dal 2020, in una fase discendente in rapporto al Pil, la Corte dei Conti teme che il mancato conseguimento degli obiettivi di crescita possa compromettere questo schema.
Se, come abbiamo detto, la Bce porterà avanti la sua politica monetaria accomodante nella zona euro, dall’altra parte dell’Oceano ci si aspetta invece che la Federal Reserve prema il tasto pausa prima di effettuare ulteriori tagli ai tassi di interesse: nonostante il linciaggio pubblico, da parte di Trump, dell’istituto guidato da Jerome Powell, alcuni segnali indicano che l’economia americana nel 2020 potrebbe raggiungere un tasso di crescita del Pil superiore al 2 per cento. Basterà questo a garantire la rielezione dell’attuale inquilino della Casa Bianca, in un anno che lo vedrà processato e verosimilmente assolto dalle accuse di impeachment? Probabilmente sì. Nonostante la crisi costituzionale in atto a Washington, Trump ha più chance di essere riconfermato piuttosto che sconfitto.
Senza alcun dubbio, quella che promette di essere la più brutta e surreale campagna presidenziale della storia americana condizionerà l’economia mondiale. L’impulsività di Trump e la sua geopolitica incoerente possono innescare shock inattesi. L’uccisione del generale iraniano Soleimani – un gesto muscolare le cui tempistiche, a voler pensar male, sembrerebbero dettate dal bisogno di Trump di spostare l’attenzione dalla procedura di impeachment – rappresenta solo l’ultimo esempio in ordine di tempo.
Per l’economia mondiale le elezioni presidenziali americane e la persona stessa di Donald J. Trump restano senza dubbio le più grandi variabili, i più grandi imponderabili dell’anno che si sta per aprire. È lecito ipotizzare che Trump, nel corso del 2020, possa compiere altre azioni inaspettate, suscettibili di colpire il mondo intero? Sì, l’esperienza insegna che tale eventualità vada messa in conto. Ma possiamo essere certi che le iniziative imprevedibili di Trump avranno effetti negativi sui mercati finanziari globali e sulla fievole ripresa che si prospetta quest’anno per l’economia mondiale? Non necessariamente.