L'ICONOCLASTA

Renzi non è Macron, ma dovrebbe fare come Cameron… E Berlusconi? Il Paese è andato avanti

Ripubblichiamo l’intervista che ho rilasciato a Franco Bechis per la rivista online Formiche.net. Buona lettura!

7 marzo 2018 – Silvio Berlusconi è il grande assente del dopo voto. La coalizione di centrodestra ha ottenuto il più alto numero di seggi, anche se è ancora ben distante dalla maggioranza, eppure il Cavaliere non è uscito allo scoperto da domenica. Sarà per il clamoroso successo dei Cinque Stelle, al di là di ogni pronostico. Ma a bruciare, dicono i suoi stessi colonnelli (Brunetta, ad esempio) è soprattutto il sorpasso di un alleato, Matteo Salvini, un evento senza precedenti da quando il patron di Mediaset è sceso in politica. Anche Alan Friedman, volto noto del giornalismo internazionale, che più di ogni altro ha avuto accesso a Berlusconi per scrivere la biografia “My Way” e girare per Netflix l’omonimo documentario, conferma che questa è “la vera sconfitta” per il leader forzista. Intervistato da Formiche.net, Friedman non risparmia critiche a Matteo Renzi, che anche nella sconfitta “farebbe bene a prendere esempio da Cameron”, e guarda con simpatia alla discesa in campo di Carlo Calenda, “il miglior ministro del governo attuale”.

Alan Friedman, cosa rimane di Silvio Berlusconi dopo queste elezioni?

È l’inizio del suo tramonto. Sicuramente questi risultati sono molto deludenti, una sconfitta netta. Si avvicina ormai il suo ottantaduesimo compleanno, è improbabile che in futuro lui sia ancora una persona chiave della politica italiana. Resterà però un personaggio di grande clamore mediatico, perché lui ama i riflettori.

Lei che lo ha conosciuto a fondo ci saprà dire come può sentirsi in questo momento.

Sicuramente sia il successo straordinario dei Cinque Stelle sia il sorpasso della Lega lo fanno soffrire molto. Ma la vera sconfitta per Berlusconi è essere stato surclassato da Salvini. Prima di tutto perché dimostra che la campagna elettorale di un candidato non eleggibile, tutta costruita su vecchi slogan del ’94 come “la rivoluzione liberale” o “pensioni per tutti” non ha quagliato con l’elettorato. E poi ovviamente perché Berlusconi ha definitivamente perso la leadership del centrodestra.

Perderà anche il resto del suo elettorato?

Come ha detto il mio amico sondaggista Nando Pagnoncelli, c’è un aggettivo che descrive alla perfezione l’elettorato di Berlusconi: “devozionale”. Oggi quell’elettorato è il 14% dei votanti, non è grandissimo. La parabola di Berlusconi è cominciata con la sua estromissione dal governo nel 2011, è continuata con la sua condanna nell’agosto del 2013 e poi con la sua espulsione dal Senato. Quando abbiamo lavorato insieme per il libro e il documentario “My Way”, Berlusconi mi ha confidato: “Non me ne andrò finché non avrò vinto di nuovo le elezioni”, non è più successo. Nel frattempo il Paese è andato avanti e Berlusconi non si può più considerare una volto del futuro.

Le sorti di Forza Italia dipendono dal suo leader?

Forza Italia è un cult, ma il partito che abbiamo conosciuto in questi venticinque anni non tornerà più, le ultime elezioni hanno fortemente ridimensionato il suo peso rispetto al passato. Può essere che alcuni dei leader forzisti tornino alle loro radici democristiane o neo-fasciste, e creino nuovi partitini centristi.

Ritiene credibile la formazione di un fronte di destra unitario guidato da Salvini?

Salvini può rafforzarsi ulteriormente, perché gioca con la paura e il disagio economico dei cittadini, con l’euroscetticismo e l’odio dei migranti, ma la sua rimane una destra estrema. Certo, lui e Meloni sono già di fatto sulla stessa linea, e insieme fanno circa il 20%. E in giro c’è già qualche colonnello di Forza Italia pronto a prestarsi alla leadership di Salvini, in Italia spesso si salta sul carro del vincitore.

Chi garantirebbe maggiore continuità a Palazzo Chigi nei rapporti con gli Stati Uniti: una coalizione Pd-Cinque Stelle o il centrodestra a trazione leghista?

Dal momento che Trump ama i populismi e gli estremisti, così come Bannon, che l’altro giorno era a Roma, sulla carta la coalizione di centrodestra sembra quella con più chances di instaurare buoni rapporti con la Casa Bianca. Ma se un giorno Salvini, da premier, si svegliasse con dei nuovi dazi americani contro l’Italia non so come la prenderebbe. La logica normale non si applica al rapporto transatlantico con Trump, l’imprevedibilità è l’unica cosa certa con lui.

In effetti è ancora presto per parlare di politica estera. Il Rosatellum, come previsto, ha creato ingovernabilità.

L’attuale legge elettorale è orripilante e disgustosa, uno dei peggiori pasticci che abbia visto nella recente storia italiana. È stata scritta da Renzi e Berlusconi con l’unico scopo di escludere i Cinque Stelle. Oggi i pentastellati hanno vinto, e ci ritroviamo ancora una volta nelle sabbie mobili della Prima Repubblica.

Veniamo alla sinistra. Esiste un dopo Renzi?

Non so chi verrà dopo Renzi, so che in un Paese normale se sei segretario del Pd, giochi male e perdi le elezioni in modo umiliante, anzi catastrofico oltre ogni previsione, ti dimetti subito. Renzi invece ha dato queste dimissioni ibride: prima si è dimesso, poi ha annunciato che lo avrebbe fatto dopo la formazione del governo. Un atteggiamento poco umile e poco corretto. Quando David Cameron ha perso il referendum sulla Brexit si è dimesso dopo cinque ore, Renzi farebbe bene a prendere esempio. Dopo la sconfitta di domenica, per i prossimi cinque anni il Pd dovrà sopravvivere con il 18-19%, serve un lavoro di ricostruzione enorme.

Calenda ha deciso di prendere la tessera del Pd. Può essere lui il volto della ricostruzione?

Carlo Calenda è uno dei pochissimi politici italiani con cui sento di complimentarmi. Non mi schiero mai, ma non posso non ritenerlo una persona estremamente brava e pragmatica, e di sicuro il miglior ministro del governo attuale. Spero che in futuro abbia ancora un ruolo per servire il Paese.

Perché il centrosinistra ha subito una sconfitta così cocente?

Perché la destra estrema ha saputo sfruttare la paura dei migranti e la frustrazione di un Paese dove la ripresa è in corso, ma non ha raggiunto neanche la metà dei cittadini. Il Pd ha perso anche a causa di Matteo Renzi. Dal 4 dicembre 2016 si è reso talmente antipatico alla maggioranza degli italiani che quasi nessuno voleva votarlo. Renzi è stato un Macron prematuro: quattro anni fa si è presentato con le sue politiche liberiste, ma l’Italia, a differenza della Francia, non è un Paese che vuole le riforme.

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