Quarto appuntamento con Lo Specchio, la mia rubrica su La Stampa dove ogni settimana propongo un ritratto di una delle principali figure della politica italiana. Oggi è il turno di Silvio Berlusconi. Disponibile anche su lastampa.it.
21 febbraio 2018 – Ricordo bene la prima volta in cui chiesi a Silvio Berlusconi cosa pensasse di Matteo Renzi. Era il gennaio del 2014. Mi trovavo all’inizio di un lungo periodo in cui dovetti frequentare assiduamente l’ex Cavaliere: diciotto mesi, oltre cento ore di interviste e conversazioni a partire dalle quali scrissi la sua biografia, My Way.
Eravamo nel suo studio al primo piano di Palazzo Grazioli, a Roma, e lui stava trangugiando con gusto dei piccoli toast triangolari con prosciutto e formaggio fuso. Qualche giorno prima era nato il Patto del Nazareno. Così, quando gli chiesi un parere su Renzi, gli occhi di Silvio quasi si bagnarono di lacrime. Sorseggiò del crodino e iniziò a parlare, con tenerezza.
“Io, io avrei un sogno…”, esclamò Berlusconi guardando nel vuoto, “ma non oso dirlo”. “No, non lo dico,” tagliò infine corto, sfoggiando il suo sorriso da showman.
Quel sogno l’avrei decifrato meglio in seguito, nel corso dei lunghi mesi trascorsi ad Arcore. Talvolta a Silvio capitò di sbilanciarsi, e compresi che per lui Matteo Renzi rappresentava davvero l’erede naturale, un ragazzo brillante e capace di empatia come il Berlusconi dei vecchi tempi. Covava il progetto di un’alleanza con il giovane fiorentino, un partito assieme, o qualche cosa di simile. E anche al momento della rottura del Nazareno, all’inizio del 2015, quando Berlusconi voleva Giuliano Amato al Quirinale e si sentì tradito da Renzi, nonostante la cocente delusione, la sua reazione fu più di rammarico che di vera rabbia. Ricordo in quei giorni un pranzo ad Arcore, erano presenti Francesca Pascale, Deborah Bergamini e Mariarosaria Rossi. Berlusconi parlò a lungo e con veemenza di come si sentisse pugnalato. Era deluso, ma le sue rimostranze assomigliavano più alle lamentele di un padre.
Il sogno di Berlusconi, da ormai quattro anni, è di legarsi in qualche modo a Renzi, di assorbirlo. E mi ha fatto capire più volte quanto fosse felice del fatto che Renzi stesse distruggendo la sinistra italiana.
Non deve quindi sorprendere se, in questa strana stagione elettorale, il Pd e Forza Italia si stiano scambiando effusioni sospette. In nome della guerra contro il populismo, Berlusconi potrebbe giustificare una collaborazione con i democratici dopo il 4 marzo, semmai questa volta con Renzi come socio di minoranza. L’apertura di Berlusconi a un governo di larghe intese va letta in questo senso, anche se lui nega.
Ma dietro le quinte, nei salotti e nei ristoranti di Roma, c’è un gran fermento tra gli uomini e le donne di Renzi e Berlusconi. Per i perdenti del Pd, che temono di crollare intorno al 20 per cento, un “Governo del Presidente” o una “Grande Coalizione” appaiono le uniche speranze.
Chiamatelo come volete, è solo una questione di forma. Se il M5S non riuscisse a governare da solo e, come appare verosimile, il Quirinale dovesse opporsi al ritorno alle urne, la palla passerà allora a Berlusconi e Renzi. Attenti a quei due. Un consigliere economico di Renzi, ancora a Palazzo Chigi, mi ha raccontato pochi giorni fa come tanti suoi compagni di partito auspichino un governo di larghe intese di cui facciano parte Gentiloni, Tajani e Letta. Sperano di avere i numeri per farcela senza Salvini, ma qualcuno è addirittura disposto a turarsi il naso e accettare la presenza del leader leghista, pur di restare in carica.
Questa è la realtà sottostante. Berlusconi potrebbe trovarsi presto in un Governo del Nazareno, o comunque rappresentare la voce decisiva nella formazione del prossimo esecutivo. Silvio kingmaker.
I miei colleghi stranieri fanno fatica a capire. La resurrezione di Silvio Berlusconi appare loro surreale. All’estero ricordano il bunga bunga, l’uomo espulso dal Senato, il condannato per frode fiscale, l’ex premier caduto in disgrazia. Come ha potuto trasformarsi, mi chiedono, e in un arco di tempo molto ravvicinato, da libertino pregiudicato in nonno rassicurante, il grande moderato della scena politica?
L’Italia, rispondo spesso, è un paese dei nostalgici, e Berlusconi è una specie di Maurice Chevalier, che rassicura i vecchietti. Ma la verità è che Berlusconi è un gatto dalle nove vite. Si è reinventato con un progetto tipicamente italiano, una specie di pentapartito del 21esimo secolo. Un “Ritorno al Futuro” che alla fine appare la soluzione più naturale, visto che la legge elettorale in vigore ci riporta alle geometrie variabili della Prima repubblica.
In tutto questo, Berlusconi appare in gran forma. A suo agio nel salotto di Vespa, dove replica il contratto con gli italiani, instancabile nel promettere una rivoluzione liberale, mille euro di pensione per tutti, bonus bebè a pioggia, l’abolizione del bollo auto, il reddito di dignità. Più che una strategia economica Berlusconi offre, come sempre, caramelle per ogni target demografico.
Tra tutte le promesse, la più audace è certamente rappresentata dal cosiddetto “reddito di dignità”, un minimo annuale di 13mila euro per tutti i cittadini che dichiarano meno di quella somma. Un progetto che costerebbe diverse decine di miliardi di euro: soldi che non esistono. L’ex Cavaliere sostiene di essersi ispirato a Milton Friedman, ma sembra piuttosto aver copiato a man bassa dal programma del M5S.
Alla fine, giudicare le proposte economiche di Berlusconi è inutile. Il quattro volte premier ha già avuto ampio tempo a disposizione a Palazzo Chigi per mostrare agli italiani le sue capacità in campo economico. Qualcuno ricorderà l’Italia ai tempi di Berlusconi, qualcuno no.
Io rammento come fosse ieri una delle nostre ultime conversazioni. Gli chiesi se pensasse di ritirarsi dalla scena pubblica. Lui rimase in silenzio e scrisse alcune parole sul bloc-notes che teneva sempre davanti a sé: Me ne andrò dopo aver vinto un’altra volta.
Sembra che per Silvio Berlusconi si stia avvicinando la volta buona.