18 maggio 2017 – A poco più di una settimana dal controverso licenziamento del direttore dell’FBI James Comey da parte del presidente Donald Trump, il dipartimento di Giustizia USA ha nominato un procuratore speciale per sovrintendere le indagini sulle interferenze russe nelle elezioni presidenziali americane del 2016 e i possibili legami tra il comitato elettorale di Trump e il Cremlino.
Il delicato incarico è stato affidato a un ex direttore dell’FBI nominato da George W. Bush, Robert Mueller, un repubblicano moderato che gode di sostegno bipartisan e di grande stima negli ambienti dell’intelligence.
La decisione del viceministro della Giustizia, Rod J. Rosenstein – che ha il controllo delle indagini a causa della ricusazione del ministro Jeff Sessions, dopo che è stato reso noto il suo aver taciuto i contatti avuti con l’ambasciatore russo a Washington, Sergey I. Kislyak, quando Sessions era ancora un consigliere della campagna di Trump – arriva dopo giorni di polemiche provocate dai forti sospetti che il presidente Trump abbia rimosso dall’incarico Comey proprio a causa dell’inchiesta sul Russiagate che l’FBI stava portando avanti. Sospetti che si sono fatti ancora più pesanti dopo le rivelazioni del New York Times sull’esistenza di appunti presi dall’ex direttore Comey dopo ogni incontro e telefonata con il presidente Trump. Uno, in particolare, riporterebbe un tentativo di pressione da parte di Trump che avrebbe chiesto a Comey di chiudere le indagini sull’ex consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn, costretto alle dimissioni lo scorso febbraio a causa di contatti avuti con l’ambasciatore russo Sergei Kislyak prima di entrare in carica, a cui si è poi aggiunta un’inchiesta su presunte attività di lobbista per governi stranieri – Russia e Turchia – non dichiarate. Circostanze, quelle delle pressioni su Comey da parte di Trump, che se mai dovessero essere confermate sarebbero una prova tangibile di “obstruction of justice”, intralcio alla giustizia: un capo d’accusa che potrebbe portare a un eventuale impeachment del presidente.
Il viceministro Rosenstein figurava, insieme al ministro della Giustizia Jeff Sessions, nella lettera di licenziamento recapitata da Trump a Comey per aver raccomandato al presidente l’allontanamento del direttore dell’FBI. Tuttavia, in un’intervista alla NBC, Trump ha poi contraddetto la versione ufficiale della Casa Bianca sostenendo che avrebbe licenziato Comey «a prescindere dal loro parere». «Avrei comunque licenziato Comey, sapendo che non c’era un momento buono per farlo – ha dichiarato Trump al giornalista Lester Holt -. E infatti, quando ho deciso di farlo mi sono detto: “Sai, questa cosa di Trump e la Russia è un’invenzione, una scusa che i democratici si sono dati per avere perso le elezioni”».
La Casa Bianca ha diffuso una nota dopo la nomina di Robert Mueller, in cui Trump assicura: «Le indagini dimostreranno quello che già sappiamo, ovvero che non c’è stata alcuna collusione tra la mia campagna e un’entità straniera. Spero che questa questione si chiuda rapidamente. Nel frattempo – ha aggiunto il presidente americano – non smetterò mai di combattere per la gente e per le questioni che più importano per il futuro del Paese».
La tranquillità ostentata nel comunicato della Casa Bianca è tuttavia crollata come un castello di sabbia dopo la pubblicazione da parte di Trump di due tweet. Nel primo, il presidente lamenta «la più grande caccia alle streghe subita da un politico nella storia americana». Poi afferma: «Con tutti gli atti illegali che sono stati compiuti durante la campagna della Clinton e l’amministrazione di Obama – scrive Trump senza alcuna prova a sostegno di quel che afferma – non è mai stato nominato un procuratore speciale».
L’alto profilo di Mueller – che nel ruolo di procuratore speciale godrà di grandissima indipendenza e libertà d’azione, senza alcun obbligo di informare il dipartimento di Giustizia – fa prevedere che l’inchiesta non si arenerà, e anzi andrà avanti a passo spedito.
Intanto, un nuovo scoop del Washington Post aggiunge nuova benzina al fuoco. Durante una conversazione a Capitol Hill con alcuni parlamentari repubblicani nel giugno 2016, in piena campagna elettorale, il leader della maggioranza repubblicana alla Camera, Kevin McCarthy, avrebbe pronunciato una frase pesantissima: «Penso che Putin paghi Trump». Della conversazione esisterebbe una registrazione ascoltata e verificata dall’autorevole quotidiano.