L'ICONOCLASTA

Scandalo Panama Papers, i miliardi di vip e potenti nei paradisi fiscali. E nelle carte spuntano i Le Pen

5 aprile 2016 – «Un sistema offshore sofisticato tra Hong Kong, Singapore, le isole Vergini britanniche e Panama», con lo scopo «di far uscire fondi dalla Francia attraverso società schermo e fatture false e con la volontà di sfuggire ai controlli del servizio antiriciclaggio francese». Lo scrive Le Monde, e oggetto delle rivelazioni del quotidiano francese è il cerchio magico di Marine Le Pen, due degli uomini più vicini alla leader, l’uomo d’affari Frédéric Chatillon e l’esperto contabile Nicolas Crochet. Ma lo scandalo coinvolge anche Le Pen senior, il fondatore del partito di estrema destra Front National: attraverso una società offshore creata nei Caraibi nel 2000, la Balerton Marketing Limited, sarebbe stata dissimulata una fortuna in banconote, lingotti e monete d’oro intestata a un prestanome, Gerald Gerin, ex maggiordomo di Jean-Marie e della moglie Jany Le Pen.

Intanto, il premier islandese Sigmundur Gunnlaugsson, coinvolto anche lui nel caso dei Panama Papers, ha offerto le sue dimissioni.

Si aggrava poi la posizione del premier inglese David Cameron, il cui defunto padre era stato immediatamente chiamato in causa una volta reso pubblico il dossier Panama Papers per aver nascosto per decenni al fisco britannico le sue fortune di broker della finanza. La stampa britannica rivela martedì che Ian Cameron, morto nel 2010, avrebbe dirottato fin dal 1982 ingenti somme di denaro in Centro America, facendo ruotare in seno al board della sua società – la Blairmore Holdings – decine di prestanome caraibici. Alle domande dei giornalisti, il portavoce del primo ministro inglese si è limitato a commentare: «Questioni private».

Più di 10 milioni di documenti e 2,6 terabyte di dati, informazioni su oltre 200mila società con sede in paradisi fiscali: ecco le fonti, che risalgano fino a 40 anni fa, su cui poggia uno scandalo finanziario di dimensioni planetarie che coinvolge leader politici, industriali e vip di mezzo mondo.

Da Vladimir Putin al presidente ucraino Petro Poroshenko, dalla cerchia del leader siriano Bashar al-Assad, del presidente pakistano Nawaz Sharif e di quello sudafricano Jacob Zuma al fu Muammar Gheddafi, ai familiari del presidente cinese Xi Jinping, al padre defunto del premier britannico David Cameron. E ancora, il presidente argentino Mauricio Macri, il premier islandese Sigmundur Davíð Gunnlaugsson, l’ex presidente egiziano Hosni Mubarak, l’ex presidente iracheno Ayad Allawila, la monarchia saudita di re Salman e il sovrano del Marocco Mohammed VI, ma anche l’italiano Luca Cordero di Montezemolo, il famoso calciatore Leo Messi, l’attore Jackie Chan e l’ex pilota di Formula 1 Jarno Trulli figurano nei documenti diffusi in queste ore insieme ad altre decine di uomini d’affari, amministratori della cosa pubblica, celebrità dello sport e dello spettacolo, banche (tra cui le italiane Ubi e Unicredit) e intermediari.

Le carte, note come Panama Papers, provengono da uno studio legale panamense con uffici in tutto il mondo e specializzato in servizi finanziari offshore, il Mossack Fonseca. Grazie a un anonimo informatore all’interno dello studio, questo mare di informazioni compromettenti è arrivato prima al quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung, il quale ha deciso poi di coinvolgere l’International Consortium of Investigative Journalists: per un intero anno, i reporter di oltre 100 pubblicazioni da più di 80 paesi hanno lavorato al dossier.

Per l’Italia, il giornale di riferimento è stato L’Espresso. Secondo il settimanale, «i file panamensi aggiungono particolari inediti su vicende giudiziarie come il caso dell’eredità di Nino Rovelli, il re della chimica anni Settanta. E negli stessi documenti segreti compare anche il nome di Giuseppe Donaldo Nicosia, sotto inchiesta a Milano per frode fiscale e bancarotta fraudolenta. Un’inchiesta in cui è coinvolto anche l’ex senatore di Forza Italia, Marcello Dell’Utri, che sta scontando in carcere una condanna a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa».

I documenti includono registri finanziari, rapporti, copie di passaporti, lettere e email che gettano l’ombra del sospetto su numerose fortune economiche. È importante tuttavia notare come il semplice possesso di conti bancari offshore non sia di per sé illegale, ma spesso questi account vengono utilizzati per nascondere il denaro al fisco o per riciclare denaro sporco proveniente da attività criminali e corruzione.

Nelle carte figurano anche società che sarebbero riconducibili a 33 sigle o individui inseriti nella black list degli Usa per connessioni con trafficanti di droga e armi, con organizzazioni considerate terroristiche come gli Hezbollah sciiti libanesi e con i cosiddetti “Stati canaglia”, come la Corea del Nord o l’Iran.

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