Prosegue la mia collaborazione con La Stampa con la rubrica Lo Specchio. Questa settimana commento i possibili rischi a cui andrebbe incontro l’economia italiana nel caso in cui si formasse un governo di alleanza tra M5S e Lega. Buona lettura!
24 marzo 2018 – Quando si sono visti a Parigi, lo scorso venerdì, Angela Merkel e Emmanuel Macron hanno espresso il loro disappunto per la vittoria delle forze «estremiste» e la crescita dei populisti nel voto del 4 marzo. I due leader hanno inoltre riconosciuto il ruolo determinante giocato dal vasto disagio sociale ed economico legato agli elevati tassi di disoccupazione, un fenomeno ormai cronico in questo Paese, e dalla crisi migratoria europea. Entrambi si sono mostrati piuttosto preoccupati, tanto da dichiarare che il voto italiano «ha scosso profondamente il contesto europeo».
Intanto, a Roma, la coalizione di centrodestra e il Movimento 5 Stelle sono riusciti a trovare un accordo per i presidenti di Camera e Senato. A Montecitorio, il nome dei pentastellati è quello di Roberto Fico, attuale presidente della Commissione parlamentare di Vigilanza della Rai, mentre a Palazzo Madama, Salvini, Berlusconi e Meloni sono riusciti a ricomporre lo strappo di venerdì convergendo sulla figura della forzista Maria Elisabetta Alberti Casellati, ex membro del Consiglio Superiore della Magistratura in quota Forza Italia.
Il gentile Paolo Gentiloni, di ritorno dal vertice dei leader Ue a Bruxelles, ha poco da dire. Ai partner europei che gli hanno chiesto rassicurazioni, non ha potuto darne: è un uomo che ormai svolge il compito di un semplice custode e rappresenta il simbolo di un partito una volta dominante, oggi sconfitto dagli euroscettici.
Per chi ha parlato Gentiloni? Il suo Paese è frammentato dal voto. Un Paese in cui il 55 per cento degli elettori ha bocciato l’Europa e/o l’euro e si è espresso in maggioranza a favore di una linea anti-immigrati (con diverse sfumature, dalla retorica incendiaria di Salvini e Meloni a quella più sottile di Casaleggio e Di Maio). Un Paese in cui i reduci di Forza Italia sono in piena ritirata, intenti a leccarsi le ferite, mentre quel che rimane del Pd è dilaniato dalle guerre interne tra correnti rivali che hanno caratterizzato il tormentato autunno del centrosinistra italiano.
Insomma, questo è un Paese che sembra tornato alla Prima Repubblica ma non vuole ammetterlo, che pensa di poter ignorare i mercati finanziari e il macigno del debito pubblico ripetendo ossessivamente mantra rassicuranti come “finora i mercati finanziari stanno alla finestra”, o “la reazione in borsa non c’è stata”. E allo stesso tempo continua a discettare di politiche economiche impresentabili. Per l’Italia il vero rischio potrebbe arrivare quando saranno chiare le prospettive per l’economia e per la sua gestione, non appena sarà formato il nuovo esecutivo.
Tuttavia, tornando dagli Usa, qualche giorno fa, sono rimasto molto sorpreso dal sentire discussioni in cui veniva citato l’esempio del Belgio che, dopo le elezioni del 2010, rimase 544 giorni senza un governo. E nonostante l’impasse, si affrettavano a sottolineare questi astuti commentatori, l’economia ha continuato a crescere. Poi c’è la Germania, “guardate quanti mesi hanno impiegato per creare la Grosse Koalition…” o la Spagna, “un anno senza governo e non è successo nulla!”. Sembrava una gara. E così, secondo questa logica, potremmo tranquillamente andare avanti diversi mesi con Gentiloni, tanto non cambierebbe nulla. Ecco, io ho i miei dubbi.
Ma lasciamoci per un momento questo cinismo alle spalle e facciamo un salto di fantasia, immaginiamo che in qualche modo venga trovato un accordo politico tra il Movimento Cinque Stelle e la Lega di Salvini, magari per un governo di scopo, anche senza Berlusconi. Immaginiamo un governo con il compito di approvare una nuova legge elettorale. Viste le numerose promesse effettuate da Di Maio e Salvini, questo nuovo esecutivo tenterebbe comunque di imporsi anche in campo economico, cercando di introdurre alcune delle proposte che abbiamo sentito durante la campagna elettorale. La flat tax e il reddito di cittadinanza sono le due misure più rappresentative, senza dimenticare l’abolizione della legge Fornero. Che cosa succederebbe se un governo M5s-Lega tentasse davvero di realizzare queste cose?
A mio avviso non lo sapremo mai, perché le visioni economiche della Lega e del M5S sono lontane anni luce: l’assistenza sociale del reddito di cittadinanza difficilmente può essere combinata con una flat tax, che porterebbe benefici soprattutto ai contribuenti più benestanti.
La prima misura costerebbe almeno 17 miliardi all’anno, garantendo fino a 780 euro al mese per un individuo solo e privo di reddito (mentre la cifra sarebbe destinata a salire in presenza di figli a carico). La seconda creerebbe un buco nei conti pubblici di circa 40 o 50 miliardi di euro all’anno, ovvero un mancato gettito per il Fisco pari a quasi 3 punti di Pil. Questo si tramuterebbe ovviamente in deficit e quindi in debito pubblico, e allora sì, i mercati inizierebbero davvero a preoccuparsi, lo spread schizzerebbe su di nuovo e gli avvoltoi tornerebbero a speculare contro l’Italia.
C’è poi da augurarsi che Salvini non riesca a smantellare del tutto o in parte la legge Fornero, o a congelare l’età pensionabile cancellando l’innalzamento automatico legato all’aspettativa di vita. Abolire la Fornero vorrebbe dire creare una voragine di 150 o 200 miliardi nei prossimi dieci anni. Il sistema previdenziale andrebbe in tilt, non sarebbe più sostenibile.
Io spero che non arriveremo mai a questo punto, ma i precedenti dell’America di Trump e della Brexit non promettono nulla di buono. Quando gli estremisti e i populisti arrivano al potere, cercano di realizzare sul serio le promesse effettuate durante la campagna elettorale.
Ecco il vero rischio che corre l’economia italiana: che il Paese si svegli un giorno con un governo composto dai Cinque Stelle e dalla Lega.