L'ICONOCLASTA

Friedman racconta: Il giorno in cui sono andato al Cremlino a trovare Vladimir Putin

In esclusiva per i lettori di alanfriedman.it pubblichiamo il prologo di My Way: BERLUSCONI si racconta a FRIEDMAN, edito in Italia da Rizzoli.

Mosca, lunedì 27 luglio. Fa molto caldo e un vento forte sferza la Piazza Rossa traboccante di turisti. Le nubi nere della mattina sono state spazzate via, sul Cremlino ora regna il sereno. Ma, si sa, il tempo a Mosca è variabile.

Per arrivare alla Torre Spasskaja, luogo dell’appuntamento con lo staff del presidente Putin, bisogna attraversare l’immensa piazza. Lungo il muro orientale del Cremlino sorge il mausoleo di Lenin, una costruzione in marmo color nero e ruggine con il nome del capo del partito bolscevico ben in vista.

L’orologio della torre segna le 16.20. C’è un qualcosa nell’aria che crea una certa inquietudine, e osservando la piazza sembra che i turisti, molti dei quali cinesi e giapponesi, si muovano al rallentatore. In cima alla guglia della torre brilla la stella rossa in vetro di rubino con falce e martello al centro, il simbolo del potere sovietico che nel 1935 sostituì le aquile imperiali sulle torri più alte del Cremlino. I turisti scattano foto e selfie davanti ai 2235 metri di mura che racchiudono l’immensa fortezza, incuranti di quello che succede all’interno.

Dal portone della Spasskaja esce una bella ragazza, vestita con eleganza, che lavora nell’ufficio stampa del presidente. Si presenta puntuale all’incontro, accompagnata dalla sua assistente. Prima di entrare, però, è necessario attendere anche gli interpreti, a quanto pare in ritardo. Quando arrivano, veniamo accompagnati in un’ala del Cremlino chiusa ai turisti. Cade un silenzio del tutto particolare. Lo staff dell’ufficio del presidente Putin ci precede senza parlare. Gli uomini della sicurezza sono avvolti da quell’aura di segretezza e devozione tipica della loro professione. Camminiamo lungo i palazzi per diversi minuti fino ad arrivare a un grande cancello nero che delimita l’ingresso all’area dell’amministrazione presidenziale. Stiamo per entrare nel Palazzo numero uno, il palazzo dentro le mura dove hanno vissuto e governato Lenin e Stalin, entrambi inquilini di questa fortezza ancora oggi imponente e minacciosa.

Ora siamo all’interno della zona proibita, nei cortili del vecchio Palazzo del Senato, una costruzione neoclassica bianca e giallo ocra, nata nella Russia imperiale, e diventata dopo la rivoluzione bolscevica la prima sede del governo sovietico. Nonostante l’afa di questa giornata, vengono lo stesso i brividi. Si sente il peso della storia intorno a noi, la storia della Grande Madre Russia. Entriamo da una porticina laterale, la numero sette, quasi di soppiatto. Le borse sono controllate al metal detector in una stanza piccola e spoglia. Dopo altri cinque minuti, percorriamo un corridoio bianco, lungo e claustrofobico. La sensazione, camminando lungo questo corridoio, è di essere dentro un film di James Bond, Dalla Russia con amore. L’atmosfera è quella dei thriller ai tempi della Guerra fredda. Siamo dentro il Cremlino, ed è tutto vero, tutto.

Andiamo avanti, lentamente, sempre in silenzio, e poi prendiamo un ascensore a vetri che affaccia su un cortile interno in disuso. Ci fermiamo al secondo piano. Siamo arrivati. Siamo nel cuore del potere nella Russia di Vladimir Putin, per molti l’uomo più potente della Terra. Siamo nel centro nevralgico del Cremlino, nel Palazzo numero uno, dove un’infilata di sontuose stanze di rappresentanza finemente arredate conduce allo studio del presidente. L’ala è sfarzosa, in stile neoclassico. Tutto è perfetto. Sulle pareti di un bianco immacolato sono appese immagini storiche del Cremlino e della Piazza Rossa. A destra sfilano porte numerate, laccate di bianco e ornate di fregi dorati. I dettagli sono curatissimi, le maniglie in oro sono lavorate al cesello. Ogni tanto, sul percorso, appare un anacronistico apparecchio telefonico stile soviet.

Ed eccoci nella Stanza del Camino, il luogo «sacro» scelto da Putin per l’incontro. È situata nel settore nord-est del Cremlino, un’ala rigidamente off-limits. È qui che lavora, comanda, decide sul destino del suo Paese e sulle mosse geopolitiche Vladimir Putin, un capo di Stato e un uomo nelle condizioni di scrivere e riscrivere la storia, non così lontano da uno zar.

Solo quattro stanze separano la Stanza del Camino dall’ufficio personale di Putin. È qui che nel 1940 si trovavano gli appartamenti e l’ufficio di Stalin. Con la differenza che lo stile sovietico è stato sostituito da oro, stucchi e arredi all’occidentale. Oggi si cammina su raffinati parquet, riprodotti alla moda del Settecento, con intarsi in legno chiaro e scuro che disegnano figure geometriche e floreali, rosoni e greche. Lampadari maestosi in oro e cristallo pendono con grazia dai soffitti impreziositi da stucchi elaborati, un tocco di Versailles. I tendaggi a festone sono lussuosi, barocchi, le tappezzerie pregiate.

A pochi metri di distanza, Putin sta tenendo un incontro con il Consiglio dei ministri, presente pure Dmitrij Medvedev, il suo alter ego e attualmente primo ministro della Russia.

L’ufficio di Putin ha un’enorme doppia porta bianca con inserti in oro lungo i pannelli. Da lì il presidente accede direttamente alla stanza nella quale riceve i capi di Stato, la Sala dei Summit. In una delle stanze, facilmente riconoscibile perché vista in tv in occasione degli incontri con i capi di governo stranieri, l’aquila bicipite, moltiplicata all’infinito, spicca sulle tappezzerie di velluto rosso. Prima simbolo degli imperatori bizantini e poi degli Asburgo e della dinastia Romanov, oggi è lo stemma della presidenza della Russia. Al centro si scorge un san Giorgio che uccide il drago. Poi si prosegue verso un’altra stanza di rappresentanza, quella dalle pareti azzurre, e ci mettiamo davanti a un grande tavolo bianco. È qui che ci fermiamo per un po’ di chiacchiere con gli uomini del presidente, una tazza di tè e una conversazione sulle chance di Hillary Clinton, Donald Trump e Jeb Bush nella campagna per la Casa Bianca in America.

Sul tavolo ci sono diversi vassoi con tartine assortite, per lo più a base di pesce. Non mancano i pirožki, piccoli panini farciti con cavolo o mela. Tutto secondo la tradizione della cucina russa. Ormai siamo a pochi metri dall’ufficio personale di Putin, mentre stiamo passando il pomeriggio con il suo staff. Siamo liberi di passeggiare nell’ala presidenziale, di fare foto ricordo e ammirare gli arredi. Uomini della sicurezza in completo scuro e auricolare ci osservano, con lo sguardo di chi è abituato ad avere a che fare con gli ospiti vip del presidente, un po’ stile Secret Service alla Casa Bianca.

Poco prima delle 19, tutto lo staff si trasferisce nella sala accanto a quella del Camino. Gli operatori hanno posizionato le telecamere. Non resta che attendere Putin. Diverse figure che ci sono ormai familiari si aggirano nelle stanze dei bottoni. Un loquace collega che lavora per il portavoce del presidente, Dmitrij Peskov, parla amabilmente della politica internazionale, sotto lo sguardo severo dei ritratti dell’ammiraglio Ušakov e del generalissimo Suvorov, uno dei pochi a potersi vantare di non essere mai stato sconfitto dopo aver combattuto oltre sessanta battaglie. Tutti sono tranquillamente in attesa, instancabili come il loro presidente, ma soprattutto abituati ai suoi ritmi.

Intorno alle 19.45 giunge la comunicazione ufficiale che il presidente arriverà tra poco. La tensione cresce tra i membri dello staff, tutti si dirigono verso i propri posti, i cameraman sono pronti a registrare. Gli uomini della sicurezza cominciano a posizionarsi, quasi come un corpo speciale, lungo i quaranta metri che Putin deve attraversare per arrivare alla Stanza del Camino.

Alle otto in punto si spalancano le doppie porte dell’ufficio del presidente della Federazione Russa e arriva Vladimir Vladimirovic Putin. Il presidente è seguito dal portavoce Dmitrij Peskov e dai membri del suo staff. E dopo alcuni secondi, e quel percorso lungo quaranta metri, Putin varca la soglia della Stanza del Camino. L’arrivo del presidente è come una corrente d’aria siberiana. Il suo passo è deciso ma il viso è teso e tirato. L’uomo sprigiona autorità e potere. È facile immaginarlo mentre attraversa in silenzio le stanze segrete del Cremlino e si prepara ad affrontare decisioni che possono cambiare il destino di molti Paesi, di molti uomini. La sua presenza nella sala ha l’effetto di una scossa elettrica. Improvvisamente, gli astanti diventano nervosi e solleciti. Fuori il buio ha inghiottito il giorno, la pioggia batte rumorosamente sulle vetrate delle ampie finestre. Le telecamere sono pronte per girare, i microfoni stanno già registrando.

Vladimir Putin mi saluta. In meno di dieci secondi si accomoda sulla sedia posizionata di fronte al camino, nello stile tradizionale dei colloqui con altri leader. Solo gli scatti del fotografo ufficiale rompono il silenzio calato di colpo alla comparsa di uno degli uomini più potenti della Terra. Il presidente indossa un completo blu con una camicia bianca e una cravatta blu. Le scarpe nere in pelle sono tirate a lucido. L’aspetto è curato, impeccabile.

All’inizio il suo sguardo è impenetrabile. Poi, nel giro di pochi minuti, l’uomo dagli occhi di ghiaccio, il cacciatore di orsi, l’esperto di arti marziali assume un atteggiamento rilassato e naturale. Succede quando gli porgo i saluti del suo amico Silvio Berlusconi. In cuffia, si sente la voce dell’interprete rotta dall’emozione. Quando Putin comincia a parlare dell’amico Silvio, il suo tono si scioglie, si fa più sommesso e anche più intenso.

Durante la conversazione, Vladimir Putin, quando descrive l’amico Silvio, dice più volte «Silvio». Perché è così che lo chiama lui. Semplicemente Silvio. È a suo agio, con lo scorrere delle lancette diventa affabile e loquace, ora sorride divertito. Mentre parla, gioca con il filo dell’auricolare e muove i piedi in modo controllato. Ma tra Silvio e Vladimir si percepisce una grande empatia. «Tra noi si è instaurato un rapporto, anche personale, molto cordiale».

Ora sceglie con cura le parole ma è con grande convinzione che esprime la sua opinione su Berlusconi. «Il fatto è che Berlusconi è stato il politico che nella storia postbellica dell’Italia è stato al potere per più tempo. Questo dimostra che ha saputo non solo attirare su di sé l’attenzione degli italiani, ma anche convincerli che il suo operato era nel pieno interesse del popolo italiano. Questo in primo luogo» dice Vladimir Putin, seduto con la schiena diritta sulla sua poltrona davanti al caminetto di marmo. «In secondo luogo è una persona brillante, franca, molto interessante e tutto questo, nel complesso, ci dà senza dubbio motivo di credere che Silvio Berlusconi, come politico e come uomo, occuperà sicuramente un posto di tutto rispetto nella storia d’Italia.» E c’è di più: «All’inizio degli anni Duemila, nel 2002, si è fatto promotore dell’accordo tra Russia e Nato e in questo senso ha svolto un ruolo essenziale nella normalizzazione della situazione in Europa, non solo nell’ambito dei rapporti italo-russi, ma su un piano molto più ampio».

Così parlò Vladimir Putin. Questo è il parere di uno dei potenti del pianeta su Silvio Berlusconi.

Ma chi è e da dove viene Silvio Berlusconi? Chi è il vero Berlusconi?

My Way: BERLUSCONI si racconta a FRIEDMAN è stato pubblicato in Italia da Rizzoli.

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