L'ICONOCLASTA

Belle donne, golf e milioni, ecco il volto del vero Trump

Il Giornale ha pubblicato alcuni estratti dal primo capitolo del mio nuovo libro, «Questa non è l’America» (Newton Compton Editori). Buona lettura!

27 febbraio 2017 – «L’ idea dell’euro non mi è mai piaciuta. Fin dal primo giorno. E non mi piace nemmeno adesso. Credo che complichi le cose, a dire il vero. Tutta quella burocrazia a Bruxelles, così tante differenze tra i singoli Stati, come la tassazione. Non mi piaceva quando è venuto fuori l’euro e non ho certo cambiato idea». Donald Trump condanna l’euro. L’attimo seguente se la prende con Angela Merkel, Barack Obama, e Hillary Clinton. Subito dopo passa a magnificare sia la Brexit che Vladimir Putin. Per poi lanciarsi in un racconto celebrativo sul suo nuovo campo da golf, appena risistemato, in Scozia. È fatto così. Trump è seduto a un elegante tavolo di mogano laccato nell’area salotto del Trump Force One, un lussuoso Boeing 757 parcheggiato nella zona di carico e scarico del George Bush Intercontinental Airport di Houston. È il 17 giugno 2016, tre giorni dopo il settantesimo compleanno di Trump. È passato quasi un anno esatto dal celebre giorno in cui l’impetuoso miliardario, scendendo dalla scala mobile della Trump Tower, ha annunciato la sua candidatura. Fuori, sull’asfalto bollente, ci sono 37 gradi, è un pomeriggio di giugno e l’enorme aereo è circondato da una dozzina di Chevrolet Suburban grigie corazzate dall’aspetto minaccioso – con dentro dei tipi che fanno certamente parte dei servizi segreti – e da Cadillac Escalade nere di proprietà dei finanziatori texani di Trump (…). Trump è appena arrivato da San Antonio, dove ha partecipato a un evento di raccolta fondi, e si prepara ad affrontarne un altro nei ricchi sobborghi di Houston. Dopo poche ore volerà a un comizio a Phoenix, e indosserà i panni incendiari del personaggio pubblico, guidando migliaia di sostenitori nel rabbioso coro: «Costruiamo quel Muro! Costruiamo quel Muro!». Ma in questo esatto momento è nel suo covo, a proprio agio e al sicuro. È rilassato, affabile, perfino misurato; ha appena messo le mani sulla nomination repubblicana. Mentre l’onda d’urto dello choc provocato dal massacro di Orlando continua a propagarsi per l’America, Trump coglie al volo l’occasione per condannare «il disgustoso terrorismo». Giura che se verrà eletto presidente spazzerà via l’Isis e tutto «il terrorismo islamico radicale» dalla faccia della Terra. Non dice come ci riuscirà. «Credimi», ripete con la sincerità del venditore consumato, «lo faremo». Trump salta da un argomento all’altro. Improvvisamente stiamo parlando del suo nuovo campo da golf in Scozia. Più tardi, in settimana, dice che volerà fino all’Ayrshire, sulla paradisiaca costa occidentale della Scozia, per inaugurare il Trump Turnberry Resort and Golf Course, ristrutturato senza badare a spese. «Non vedo l’ora di andare in Scozia», confessa con un largo sorriso. «Abbiamo investito un sacco di soldi per rifare il Turnberry, circa 200 milioni, ed è venuto un lavoro fantastico. È magnifico. Abbiamo sventrato l’edificio e rifatto il campo da golf, e ci siamo riusciti seguendo i più alti standard di qualità. La nona buca è stata spostata verso l’oceano, una cosa incredibile» (…).

Per tutta la nostra conversazione a bordo del suo jet privato è apparso calmo e di buon umore. Il Donald Trump privato è un florido uomo d’affari di New York, con gusti da parvenu, in procinto di cenare al Club 21. Ma è anche un conversatore imprevedibile, un affabulatore che adora il suono della sua stessa voce, un uomo che ha difficoltà a concentrarsi su un singolo argomento per più di qualche minuto (…).

«The Apprentice» presentava la Trump Organization come un magnifico posto di lavoro e Trump come un grande uomo d’affari, un saggio della finanza. Lo show non solo lo faceva sentire realizzato avendogli permesso di conquistare un’identità precisa e riconosciuta, ma ha anche aumentato le entrate finanziarie e rafforzato il brand Trump. Senza contare il fatto che lo ha reso estremamente sicuro delle sue capacità di sedurre le donne. Nel 2005, a Hollywood, il tycoon è stato registrato di nascosto mentre esprimeva la sua opinione sulle donne: «Quando vedo una donna bellissima sono attratto automaticamente», ha detto Trump. «Inizio a baciarle. Sono come un magnete. Le bacio e basta. Non aspetto nemmeno. E se sei una star te lo lasciano fare. Puoi fare quello che vuoi» (…).

La nazione non dimenticherà mai l’arrivo della famiglia Trump nella sala da ballo dell’Hilton di New York, sulla Sesta, e soprattutto le smorfie annoiate del giovane Barron Trump, quinto figlio di Trump, di dieci anni. Ma quale America aveva appena consegnato a Trump quella sconcertante vittoria? Dopo le elezioni più volgari e rozze della storia americana recente, Trump era finalmente vincitore, destinato a presiedere una nazione ferita, una società lacerata da paura e rabbia, e da livelli di razzismo crescenti. Una società divisa, una politica arroccata su posizioni estreme e un livello di odio come non si vedevano da decenni. E se l’America era spaccata, in parte, era anche a causa sua (…).

A New York Donald Trump era considerato un imprenditore arrivista che veniva dal Queens. È stato sempre snobbato dalle famiglie dell’alta società newyorkese. Era forse inevitabile che venisse trattato con un certo disprezzo un uomo che aveva volgarmente magnificato le glorie del proprio successo, uno che per decenni aveva messo in vetrina il suo opulento stile di vita e ne aveva fatto un modello di consumismo abbagliante. Nel mondo di Donald Trump l’opulenza era un valore e il metro di giudizio era basato su un principio elementare: più luccica, meglio è.

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