L'ICONOCLASTA

Il punto non è se il Pil crescerà dello 0,4 percento come dice Standard & Poor’s, dello 0,7 percento come dicono Istat e Confindustria, o dell’1 percento come dice l’ottimista Enrico Letta. Il punto è che una crescita da prefisso telefonico non creerà occupazione. Ci vorrebbe una percentuale intorno al 2-2,5 percento. La legge di stabilità non crea posti di lavoro. Bisogna fare molto di più.

19 dicembre 2013 – Confindustria descrive lo stato dell’economia italiana usando termini cupi.

Dopo anni di crisi il paese è tra le ceneri. «I danni della recessione», dice Confindustria, «sono commisurabili solo con quelli di una guerra».

L’analisi riportata dal Sole 24 Ore fa riflettere: «La profonda recessione, la seconda in 6 anni, è finita. I suoi effetti no», avverte il centro studi di Confindustria. Parlare di ripresa è «per molti versi improprio», suona «derisorio». «Il Paese ha subito un grave arretramento ed è diventato più fragile, anche sul fronte sociale. I danni sono paragonabili solo con quelli di una guerra».

Ma in questo scenario di guerra c’è qualcuno che vuol fare l’ottimista, forse per dovere istituzionale. Il primo ministro cerca di vedere il bicchiere mezzo pieno. Parla dell’idea di compiere la sua missione e mangiare il panettone l’anno prossimo. Parla di un tasso di crescita dell’1 percento nel 2014 e del 2 percento nel 2015. È ottimista. Confindustria prevede, come l’Istat, una crescita dello 0,7 percento per il 2014 e poco più dell’1 percento nel 2015. Letta esagera con le previsioni? Sta dando i numeri? Nelle sue stime, Letta non dà esattamente i numeri ma va sicuramente oltre i parametri e i numeri di tutti i forecast internazionali per quanto riguarda le prospettive di crescita del Pil in Italia nel 2014 (e mi riferisco qui all’Ocse, Eurostat, Istat, agli economisti di tutte le grandi banche, a Standard & Poor’s, Fmi, ecc.). E alcune di queste previsioni danno uno 0,4 percento nel 2014.

Il punto però non è se il primo ministro debba svolgere il ruolo di Cheerleader-in-Chief, perché ogni capo di governo deve cercare di proiettare ottimismo e fiducia, questo si capisce. Il problema è che così si rischia di creare aspettative inverosimilmente raggiungibili, si rischia di prendere in giro la gente se si prospetta una diminuzione seria del tasso di disoccupazione, e cioè sotto il 12 percento nel corso del 2014. Non accadrà.

Chi usa la previsione della crescita in una politica economica di piccoli passi rischia di deludere alla fine di un 2014 che, secondo me, non segnerà una grande ripresa ma sarà ancora un periodo di stagnazione. La disoccupazione rimarrà sopra il 12 percento. Nel 2014 la gente non sentirà di avere più soldi in tasca.

Una crescita da prefisso telefonico, quindi, non aiuterà un’Italia colpita dalla piaga della disoccupazione giovanile o un’Italia in cui una famiglia su tre è a rischio povertà. Non crea lavoro.

La verità è che la crescita deve essere accompagnata e prodotta anche grazie a una serie di riforme di vasta portata. La verità è che la disoccupazione non scenderà se la crescita non arriverà almeno attorno al 2 percento. Questo è da escludere. Chi ti dice che la ripresa sarà una condizione sufficiente per affrontare il vero problema della disoccupazione sta tergiversando. Abbiamo davanti a noi ancora altri mesi di stagnazione.

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