9 marzo 2016 – L’intesa tra Berlino e Ankara mostra il volto peggiore dell’Europa. Dopo un tête-à-tête notturno tra Angela Merkel e il premier turco Ahmet Davutoglu (con la presenza irrilevante dell’olandese Mark Rutte), la Cancelliera tedesca ha imposto sulla testa dell’Unione un nuovo accordo sui migranti da 6 miliardi. La firma dell’accordo è stata rinviata al 17-18 marzo. Non tutti in Europa sono entusiasti, anzi, ma la Turchia ha il coltello dalla parte del manico e i governi europei, divisi, non hanno altre alternative per limitare il flusso dei migranti salvaguardando Schengen.
La Turchia, in cambio del doppio di quanto pattuito lo scorso autunno con l’Ue, si impegnerebbe a riprendersi indietro tutti i migranti, di ogni nazionalità, arrivati in Grecia passando dal suo territorio. E per ogni cittadino siriano respinto in Turchia, l’Ue s’impegna ad accogliere un rifugiato che ha invece già fatto domanda di asilo e si trova nei campi profughi turchi. Uno scambio “uno contro uno” che dovrebbe agire come deterrente per gli sbarchi e promuovere l’ingresso in Europa unicamente attraverso campi profughi fuori dai confini dell’Unione e da questa cofinanziati. Ankara chiede inoltre la liberalizzazione dei visti per l’Europa (75 milioni di turchi sarebbero così liberi di muoversi nel Vecchio continente, forse già da giugno) e la rapida apertura di cinque nuovi capitoli negoziali per il processo di adesione all’Ue.
In questo schema, la Turchia di Tayyip Erdogan ne esce come il nostro più grande alleato. La Turchia di Erdogan. Un Paese con un governo che, per usare un eufemismo, ha un rapporto alquanto conflittuale con la democrazia. Un governo che reprime le minoranze, la cui ambiguità nei confronti del terrorismo è nota da tempo. Solo pochi giorni fa, un giornale d’opposizione è stato trasformato dalla sera alla mattina in filogovernativo.
Ok, dite, bisogna essere pragmatici, anche un po’ cinici. Ma siamo sicuri di poterci fidare di Erdogan? Sicuri che farci mettere sotto scacco dalla Turchia sia una soluzione e non un elemento di accelerazione dell’implosione di un’Europa sempre più lontana dai suoi valori?
E intanto, il Financial Times inserisce l’accordo sottobanco tra Merkel ed Erdogan nel contesto delle elezioni che si terranno questo fine settimana in tre regioni tedesche. Il quotidiano britannico riporta come secondo i sondaggi la CDU, il partito di centrodestra della Merkel, in Baden-Württemberg si trovi dietro i Verdi; nel Rheinland-Pfalz si sarebbe assottigliata la distanza con i socialisti, mentre, in Sassonia, il partito neonazista anti-immigrati Alternative für Deutschland si prepara a raggiungere un risultato storico, intorno al 19 per cento.
Angela Merkel starebbe quindi scommettendo sull’accordo tra Ue e Turchia, ignorando le critiche dell’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati, per motivazioni in gran parte domestiche? Secondo alcuni commentatori, nel 2010 la cancelliera ritardò la decisione sul primo bailout a favore della Grecia affinché fosse presa dopo le elezioni nella Renania Settentrionale-Vestfalia, lo stato tedesco più popoloso.
Ora, la questione ruota intorno a tre domande fondamentali:
1. L’accordo sarà approvato dal resto dei paesi europei?
2. Sarà utile alla Merkel per suoi interessi interni o queste elezioni segneranno l’inizio del declino della cancelliera, facendole rischiare la poltrona nelle elezioni legislative del 2017?
3. E se anche si procedesse, i turchi faranno un buon lavoro di selezione tra migranti e profughi in cambio di 6 miliardi di euro?
Ma la domanda più importante, secondo me, è questa: l’Europa sta rispettando i suoi valori fondanti? Io temo di no.