29 gennaio 2013 – Il presidente degli Stati Uniti ha fatto un ottimo discorso stanotte. La retorica era bella, le parole forti. La sua capacità di consegnare tutto quel che ha promesso, però, è meno ovvia.
«Quelle che oggi presento – ha detto Obama – sono una serie di proposte pratiche e concrete per accelerare la crescita, rafforzare il ceto medio, e moltiplicare le opportunità».
Nel suo discorso annuale sullo Stato dell’Unione, Obama ha spronato il Congresso ad avviare un aumento del salario minimo, dagli attuali 7 dollari e 20 centesimi all’ora fino a 10 dollari e 10 centesimi. Ma i repubblicani, che avevano già bocciato la stessa proposta nel 2013, non ne vogliono sentir parlare.
Ieri Obama ha firmato un decreto che rende l’aumento obbligatorio per legge a favore di due categorie: i dipendenti federali e i dipendenti delle aziende che ricevono appalti dal governo federale. Ma nel secondo caso si tratta di solo duecentomila americani, e quindi di una mossa simbolica.
Il presidente ha esposto bene le sue politiche mirate a stimolare la crescita e l’occupazione, e ha parlato con passione del problema delle disuguaglianze sociali.
«Troppi americani – ha detto – stanno lavorando solo per sopravvivere e fanno fatica ad arrivare alla fine del mese. Dobbiamo fare in modo che l’opportunità di ottenere un posto di lavoro e guadagnare un buono stipendio esista davvero per tutti gli americani».
Bellissima è stata la parte del discorso sull’occupazione femminile, e spero che i politici italiani stessero ascoltando. «Le donne devono avere retribuzioni uguali a parità di lavoro, la loro carriera non deve venire compromessa se fanno un figlio e devono potersi permettere un giorno di permesso se i loro bambini si ammalano, perché sono convinto che se hanno successo le donne ha successo l’America».
Tutto sommato è stato davvero un bel discorso, ma… C’è un “ma”.
Il problema è che non credo che Obama riuscirà a ottenere tanti risultati, visto che la Camera è controllata dai repubblicani e la maggioranza democratica al Senato potrebbe essere a rischio nelle elezioni di novembre prossimo. Un tentativo sul salario minimo è stato fatto anche l’anno scorso ma è stato bocciato al Congresso, come è stata bloccata anche la proposta di Obama di limitare la possibilità di acquistare armi, comprese pistole e mitraglie.
Alla fine i poteri di Obama sono circoscritti dalla realtà politica, e abbiamo già visto come questo abbia quasi messo in ginocchio il paese l’anno scorso, quando gli Stati Uniti hanno rischiato il default a causa dei veti incrociati sul tetto del debito e sulla finanziaria americana.
Le parole del presidente sono molto belle, ma il rischio è che Obama prometta tanto e consegni poco. Un po’ come Letta, ma meno timido.
E Obama, a differenza del premier italiano, non ha bisogno di esagerare quando parla della ripresa perché negli Usa la ripresa c’è davvero.
In America ripresa significa una crescita del Pil che supera il 3 percento all’anno, mentre qui siamo ancora all’inizio di una ripresa fragile e debole, da prefisso telefonico, e bisogna fare molto di più.
Mentre ascoltavo il discorso di Obama pensavo all’Italia, alle forti difficoltà di avviare riforme importanti per rilanciare questo paese che è diventato la mia seconda casa. Fra pochi giorni uscirà il mio nuovo libro, in cui rivelo qualche retroscena politico e cerco di offrire una ricetta comprensiva e ambiziosa per rimettere il Belpaese sul binario della crescita e dell’occupazione. Spero di poter fornire qualche spunto, perché l’Italia ha veramente bisogno di una serie di riforme di vasta portata che vadano ben al di là della nuova legge elettorale. Una nuova legge elettorale è fondamentale, ma deve essere solo l’inizio. Anche in Italia ci vuole un anno d’azione.