L'ICONOCLASTA

Orlando, 49 i morti e 53 i feriti. Il killer, noto all’Fbi, ha telefonato alla polizia nel corso della carneficina giurando «fedeltà all’Isis»

13 giugno 2016 – Il giorno dopo l’attacco terroristico più grave dall’11 settembre e la sparatoria di massa più letale della storia degli Stati Uniti – al momento il bilancio è di 49 morti e 53 feriti – il paese si è risvegliato sotto choc. Lunedì, gli ultimi corpi sono stati rimossi dal luogo della strage, un club di Orlando, Florida. Quasi tutte le vittime – 48 su 49 – sono state identificate.

Il killer, rimasto ucciso durante il blitz delle forze dell’ordine, risponde al nome di Omar Seddique Mateen, 29 anni, cittadino statunitense di Port St. Lucie (120 km da Orlando), Florida, figlio di immigrati afghani. Mateen, riporta il capo della polizia di orlando, John Mina) ha fatto irruzione intorno alle 2 di notte di domenica al Pulse, locale frequentato dai giovani della comunità Lgbt, armato di una pistola e di un fucile d’assalto, e ha iniziato a sparare all’impazzata. Il killer è quindi uscito dal locale, ha sparato ancora all’esterno ed è poi tornato all’interno del Pulse. Alcuni clienti del locale si erano nascosti nei bagni, da dove hanno chiamato la polizia e inviato messaggi ai propri cari.

Secondo quanto riportato dalla polizia, lo stesso Mateen si è barricato in un bagno prendendo alcune persone in ostaggio e ha iniziato a negoziare con le forze dell’ordine. Alle 5 di mattina, Mina ha ordinato il blitz all’interno del locale. Un’esplosione controllata ha provocato un grosso buco in un muro, dal quale sono subito uscite dozzine di persone. Anche l’assalitore è uscito dal buco, ancora armato, ed è stato ucciso in uno scontro a fuoco con la polizia, facendo di lui la cinquantesima vittima della strage di Orlando.

Violento con l’ex moglie, la quale ha dichiarato di aver divorziato proprio a causa del comportamento disturbato dell’uomo («Era bipolare, mi picchiava per un nonnulla. Mi ha tenuta in ostaggio impedendomi di avere contatti con la mia famiglia»), Mateen lavorava dal 2007 come guardia giurata per l’impresa privata G4S. Un ex collega di Mateen ha dichiarato al New York Times di essersi più volte lamentato con l’azienda perché il killer «parlava continuamente di uccidere delle persone, odiava i neri, le donne, le lesbiche e gli ebrei. Era sempre furioso, arrabbiato con il mondo».

L’agente dell’Fbi Ron Hopper ha poi rivelato domenica che Mateen ha un trascorso con l’agenzia Usa di intelligence, nel 2013 e nel 2014, per sospetti legami con gruppi terroristici e con un kamikaze (Moner Mohammad Abusalha, un cittadino americano che si è fatto esplodere in Siria). Tuttavia, ha spiegato Hopper, gli agenti non avevano trovato alcun legame sostanziale tra il killer di Orlando e formazioni jihadiste.

Nonostante questi trascorsi, Mateen continuava a mantenere la licenza che gli permetteva di lavorare come guardia di sicurezza e a portare legalmente con sé armi da fuoco. Il fucile d’assalto e la pistola con cui ha ucciso 49 persone al Pulse di Orlando erano state regolarmente acquistati la scorsa settimana.

Mentre compieva la strage, il killer ha telefonato al 911, il numero d’emergenza delle forze dell’ordine, nominando l’attentato alla maratona di Boston del 15 aprile 2013 e giurando la propria «fedeltà allo Stato Islamico».

Bill Nelson, senatore della Florida, ha dichiarato domenica: «Ovviamente sapeva cosa stava facendo. Ho chiesto all’Fbi l’esistenza di legami con l’Isis. Sembrerebbe di sì. Naturalmente ci vanno cauti e aspettano di vedere se questo legame emergerà dai fatti». Investigazioni si stanno svolgendo anche in Afghanistan, paese d’origine dei genitori del killer di Orlando.

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