Dopo il discorso di investitura del candidato repubblicano: il mio editoriale dalla Convention repubblicana di Cleveland, pubblicato sul Corriere della Sera.
22 luglio 2016 – C’era un’ampia dose di demagogia e populismo? Certamente sì. Ma piaccia o meno, il discorso di Donald Trump ieri sera, che ha chiuso la Republican National Convention, è stato davvero efficace, molto riuscito. Il discorso di Trump, durato oltre 75 minuti e interrotto più volte da standing ovation e applausi da parte dei 2.500 delegati, qui a Cleveland, è stato molto ben scritto e molto più presidenziale rispetto alle solite arringhe viste durante la stagione delle primarie, anche se i temi rimangono gli stessi: terrorismo, criminalità, immigrazione, economia e, in politica estera, l’idea un po’ isolazionista di America First, ovvero, come ha spiegato, «Americanismo, non globalismo, sarà il nostro credo».
Trump ha dipinto un’America in crisi, sotto tiro da parte del terrorismo islamico e dilaniata dall’aumento della criminalità e della rabbia, culminate nelle uccisioni di poliziotti a Dallas e Baton Rouge degli ultimi giorni. E lui, naturalmente, sarebbe l’unico in grado di mettere il paese a posto. Tante promesse, quasi nessun dettaglio specifico: un populismo classico ma convincente per i meno istruiti, per gli americani più ignoranti e frustrati. «In questa campagna per la Casa Bianca sono io il candidato di law and order», ha detto Trump, citando una raffica di statistiche sugli omicidi e le sparatorie degli ultimi mesi e posizionandosi come l’uomo forte che prenderà misure pesanti per riportare l’ordine pubblico una volta arrivato alla Casa Bianca.
Ha legato la criminalità agli immigrati illegali, e qui sembrava molto vicino ai discorsi di Le Pen in Francia o Salvini in Italia, sfruttando apertamente le paure della gente povera e rabbiosa con molta efficacia. E ha promesso di chiudere le porte dell’America agli immigrati provenienti da paesi dove c’è il terrorismo, citando ad esempio la Siria. E se a casa ha promesso di essere l’uomo-forte, in politica estera ha garantito (senza dire come fare) che in caso di vittoria distruggerebbe presto l’Isis. Per quanto riguarda la Nato, secondo Trump dovrebbe essere più focalizzata contro l’Isis e, sotto la sua presidenza, i partner europei dovrebbero pagare la loro quota e smettere di essere sovvenzionati dalla generosità di Washington.
Ma a mio avviso, Trump è stato particolarmente furbo anche perché ha tentato di allargare la sua base ben oltre i conservatori repubblicani. Ha apertamente corteggiato i fans di Bernie Sanders per esempio, spiegando di essere d’accordo col senatore del Vermont sul fatto che il commercio libero ha distrutto tanti posti di lavoro negli Usa. «Sono io la vostra voce», ha dichiarato Trump, presentandosi come l’unico, autentico difensore della classa operaia, dei poveri, dei colletti blu. Ha promesso interventi di politica economica mirati a ridurre la disoccupazione e la povertà tra le comunità afroamericane e ispaniche. E ha speso parole in difesa della comunità LGBT, facendo riferimento al recente massacro nel nightclub gay di Orlando, Florida.
Anche sua figlia, Ivanka, in un discorso che precedeva quello di Trump, ha cercato di allargare la base elettorale, parlando di come suo padre abbia sempre premiato le sue dipendenti femminili, in termini di responsabilità e di uguaglianza salariale, e sottolineando come il magnate sia «daltonico per quanto riguarda il colore della pelle delle persone e cieco per quanto riguarda il genere del dipendente». In un chiaro tentativo di attirare più donne, ma anche democratici o indipendenti, Ivanka ha addirittura dichiarato davanti ai repubblicani nell’arena di Cleveland: «Non mi ritengo repubblicana né democratica».
La serata è stata un successo per Trump, uscito da una settimana difficile in cui Ted Cruz gli ha fatto guerra, mercoledì, e dopo il discorso di sua moglie Melania, lunedì, oggetto di polemiche per alcune frasi copiate da un vecchio discorso di Michelle Obama. Ma forse, il momento che ha avuto più risonanza tra gli americani è quando Trump ha dichiarato che «non possiamo più permetterci di essere politically correct». Mentre il New York Times, che tifa per Hillary Clinton, ha subito attaccato Trump per il suo discorso «scuro e pesante», secondo me Trump ha toccato, da vero populista demagogico, i nervi scoperti degli americani, sfruttando le loro paure come fa ormai da mesi. E la frase più efficace contro la signora Clinton non riguardava i suoi errori in Libia o Iraq, o lo scandalo delle email. Trump ha dipinto la sua rivale democratica come un «pupazzo» nelle mani dei lobbisti, la preferita dell’élite dei media in America. «Le grandi imprese e le grandi lobby stanno gettando denaro in direzione di Hillary Clinton perché lei è il loro pupazzo, loro sono i burattinai che muovono le corde».
Dopo il discorso, la Cnn ha pubblicato i risultati di un sondaggio lampo che mostra come per il 57% di coloro che hanno seguito le parole di Trump l’effetto è stato «molto positivo»; «positivo» per un altro 18% . Nei prossimi giorni, la signora Clinton annuncerà la sua scelta per il candidato vice-presidenziale e poi lunedì comincerà la Democratic National Convention a Filadelfia. Ma non si può più dare per scontato che Hillary Clinton vincerà a novembre. Così, dopo una settimana burrascosa a Cleveland, il gran finale è stato positivo per Trump. Piaccia o meno, Donald Trump ne è uscito molto bene ieri sera, ha avuto successo, e secondo me avrà convinto qualche indeciso o addirittura qualche ex-fan di Bernie Sanders che odia il commercio libero e non vuole votare per Clinton. Per capire meglio però, bisogna lasciare passare un po’ di tempo dopo questa convention e dopo quella dei democratici della settimana prossima. Ma non mi sorprenderebbe se i prossimi sondaggi dovessero mostrare un vantaggio a favore di Trump.
Photo Credits: Afp/Clary