L'ICONOCLASTA

Washington, incontro tra Obama-Erdogan. Guardie del corpo del leader turco attaccano i manifestanti prima di un suo discorso. La denuncia di Amnesty: Migliaia di rimpatri forzati dalla Turchia alla Siria

1 aprile 2016 – Un incontro che non doveva avere luogo ma che infine, a sorpresa, c’è stato. Anche se non si è trattato di un vero e proprio colloquio ma di un breve scambio. Il presidente americano Barack Obama e il turco Recep Tayyip Erdogan si sono visti a Washington a margine del Vertice sulla Sicurezza nucleare al quale partecipano 50 leader mondiali.

Nei giorni scorsi la Casa Bianca aveva smentito un faccia-a-faccia tra i due leader, circostanza che era stata interpretata da molti commentatori come una critica aperta degli Stati Uniti nei confronti di un governo, quello turco, considerato sempre più autoritario. Obama e Erdogan, si legge in una nota rilasciata dalla Casa Bianca, hanno discusso di «cooperazione tra Usa e Turchia nell’ambito della sicurezza regionale, della lotta al terrorismo e delle migrazioni». Il presidente Usa ha inoltre trasmesso le sue condoglianze al popolo turco per l’attentato avvenuto giovedì a Diyarbakir, rivendicato dal braccio armato del Pkk curdo, l’Hpg, dove sono morti sette ufficiali di polizia e 27 persone, tra cui 14 civili, sono state ferite.

Le relazioni tra i due Paesi restano tese. Entrambi combattono lo Stato Islamico in Siria e in Iraq ma la Turchia considera alla stregua di terroristi le milizie curde impegnate nel nord della Siria, l’Unità di protezione del popolo (Ypg), che rappresentano invece uno dei principali alleati della coalizione guidata dagli Usa. Aspre critiche da parte degli Stati Uniti anche nei confronti dei numerosi episodi che negli ultimi mesi hanno visto Ankara attentare alla libertà di espressione nel proprio paese.

E proprio nel corso della visita a Washington si è assistito a un esempio concreto di attacco alla libertà di stampa, fuori della sede della Brookings Istitution, dove Erdogan doveva tenere un discorso. Un gruppo di manifestanti che voleva esprimere il proprio dissenso nei confronti del leader turco è stato attaccato dai servizi di sicurezza turchi. Una ricercatrice universitaria è stata aggredita dopo essere stata chiamata «PKK Whore» («prostituta del PKK»), un reporter americano che tentava di riprendere la scena è stato preso a calci mentre un altro giornalista turco è stato apertamente minacciato: «Non ci scorderemo di quello che hai scritto». È stato necessario l’intervento della polizia locale per calmare le acque.

«Il presidente turco e la sua sicurezza sono ospiti degli Stati Uniti – ha scritto in una nota il presidente del Club nazionale della stampa americana, Thomas Burr – Non hanno il diritto di mettere le mani sui giornalisti e sui manifestanti. Erdogan non può esportare le violazioni dei diritti umani e della libertà di informazione che porta avanti in Turchia».

E intanto, Amnesty International – alla vigilia dell’avvio, lunedì, dell’accordo sui migranti tra l’Ue e Ankara – denuncia il rimpatrio forzato di migliaia di rifugiati siriani dalla Turchia, circa 100 al giorno tra cui anche donne e bambini. «Tutti i rimpatri forzati in Siria sono illegali secondo la legge turca, europea e internazionale», ha ricordato l’ong, secondo cui si tratta di una pratica nota nella regione di confine tra i due Paesi, in particolare nella provincia turca di Hatay. Tra i casi denunciati da Amnesty c’è anche quello di una donna espulsa verso zone di conflitto in Siria all’ottavo mese di gravidanza.

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