2 ottobre 2017 – All’indomani del controverso referendum secessionista tenutosi ieri nella regione più ricca della Spagna, la comunità autonoma della Catalogna, la frattura tra Barcellona e Madrid appare insanabile. Il 90% dei votanti – l’affluenza ha superato di poco il 40% – ha risposto «sì» al quesito «vuoi che la Catalogna diventi uno stato indipendente in forma di repubblica?».
Per impedire lo svolgimento di una consultazione considerata illegale dalla Corte costituzionale e dal governo centrale, le forze dell’ordine in tenuta anti-sommossa inviate in Catalogna dal premier conservatore Mariano Rajoy si sono rese protagoniste di violente cariche nei confronti dei cittadini che attendevano in fila il loro turno per votare, irruzioni nei seggi, sequestro di urne elettorali. La sindaca di Barcellona Ada Colau ha inoltre denunciato aggressioni sessuali da parte della polizia spagnola durante gli assalti ai seggi elettorali.
Il bilancio finale è di quasi 900 feriti e un danno d’immagine enorme per il governo centrale: le immagini della polizia spagnola che attacca civili inermi in procinto di votare, i volti degli anziani ricoperti di sangue, regalano alla causa indipendentista, nonostante la flagrante illegalità della consultazione, una legittimità non indifferente, soprattutto agli occhi dei catalani stessi.
E le autorità catalane, neanche a dirlo, vanno spedite per la propria strada. «Mercoledì porteremo in parlamento i risultati di questo referendum: abbiamo diritto a un nostro Stato», ha annunciato il presidente della Generalitat de Catalunya, Carles Puigdemont. Il prossimo passo, quello decisivo, potrebbe essere una dichiarazione d’indipendenza unilaterale. «L’Ue deve favorire una mediazione fra Madrid e Barcellona sulla crisi della Catalogna. Non può continuare a guardare dall’altra parte: questa è una questione europea, non interna», ha aggiunto Puigdemont.
Ma il portavoce della Commissione europea, Margaritis Schinas, ha ribadito che «per la Costituzione spagnola, quel voto non è legale. Per la Commissione europea si tratta di una questione interna alla Spagna, che deve essere affrontata nel quadro dell’ordine costituzionale spagnolo e in linea con i diritti umani fondamentali. Questi – ha poi aggiunto – sono tempi per l’unità e non per la divisione. Chiediamo ad entrambe le parti di muoversi velocemente da una situazione di conflitto al dialogo. La violenza non è lo strumento in politica per risolvere le questioni. Confidiamo in Mariano Rajoy per la gestione della situazione nel rispetto dei diritti umani previsti dalla Costituzioni».
Sulla stessa lunghezza d’onda il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, che affida il suo pensiero a twitter: «Ho appena parlato con Mariano Rajoy. Condividendo le sue tesi costituzionali, ho rivolto un appello affinché si trovino modi per evitare un’ulteriore escalation e l’uso della forza».
L’Ue – ne è sicuro il portavoce del governo spagnolo, Inigo Mendez de Vigo – non riconoscerà mai un’eventuale dichiarazione unilaterale di indipendenza della Catalogna, perché «per l’Europa significherebbe un pasticcio» di enormi proporzioni.
Il primo ministro Rajoy ha incontrato lunedì i leader del Psoe e di Ciudadanos, Pedro Sanchez e Albert Rivera, i due grandi partiti spagnoli che appoggiano dall’opposizione la sua strategia in Catalogna, per concordare insieme i prossimi passi. Un’opzione sul tavolo prevede la sospensione dell’autonomia alla comunità catalana prima di una possibile dichiarazione di indipendenza.
Martedì è previsto in Catalogna uno sciopero generale per denunciare la repressione dello Stato spagnolo. Il presidente catalano Puigdemont ha inoltre annunciato la creazione di una commissione d’inchiesta sulle violenze di domenica contro la popolazione. Barcellona ha intenzione di avviare azioni legali «fino alle ultime conseguenze» contro i responsabili anche politici dell’intervento della polizia spagnola».